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Dove va Theresa May?

Intervista al professor Tim Bale sulla posizione del Governo britannico e le trattative con l'UE per la Brexit

  • 29 March 2017, 12:33
  • 8 June 2023, 03:42
Londra in marcia verso l'uscita dall'UE

Londra in marcia verso l'uscita dall'UE

  • Keystone

La lettera di Theresa May che lancia la procedura di divorzio tra la Gran Bretagna e l'Unione Europea è stata inviata al presidente del Consiglio Donald Tusk. Sono passati nove mesi dal Referendum con il quale, il 23 giugno scorso, il 52% dei britannici aveva votato per la Brexit, e in questo periodo, Theresa May ha svelato ben poco della strategia che intende seguire nel negoziato con Bruxelles, destinato a durare due anni. Una linea poco chiara la sua. Alcuni vi hanno visto indecisione, debolezza strategica e politica o la conferma che l’uscita dall’UE alle condizioni poste da Londra è missione impossibile.

"Il mio timore è che ci stiamo dirigendo verso una Brexit più "dura" del necessario”, afferma in un’intervista al Radiogiornale della RSI Tim Bale, professore alla Queen Mary University di Londra, specialista delle politiche interne ed europee dei partiti conservatore e laburista britannici.

Secondo lei quale è il piano di Theresa May?

Difficile dire se la posizione dura che Theresa May ha assunto sia un espediente negoziale, e che a monte ci sia una strategia molto più articolata, o se davvero il Governo pensa che non accordarsi con Bruxelles sia possibile. Il Regno Unito però è un paese grande, con una funzione pubblica competente, dei politici e dei "think thank" che da anni riflettono alla questione. Questo mi fa dire che dietro alle apparenze ci sia più strategia e pianificazione di quanto non si pensi.

Quindi Teresa May più che dar prova di indecisione, nasconderebbe le sue carte in attesa di vedere cosa farà l'UE...

Si, penso che si aspetti dei negoziati estremamente difficili e non vuole concedere troppo sin dall'inizio. Una dimostrazione di questo è per esempio il rifiuto del Governo di dire che garantirà i diritti dei cittadini della UE che vivono attualmente nel Regno Unito, mentre sarebbe la cosa da fare sul piano umanitario e pratico. Se il Governo non l'ha fatto non è perché sono crudeli o non pragmatici, ma perché vogliono assicurarsi che durante i negoziati gli Stati membri dell'UE ci garantiranno diritti reciproci.

“I britannici non vogliono spaccare tutto”

Ma quanto sono numerosi, e forti quelli che in seno al Governo e al partito conservatore britannico sostengono che la Gran Bretagna se la caverà benissimo anche senza un accordo con Bruxelles e chiedono una rottura netta?

Questa idea ha un preoccupante seguito in un folto numero di deputati conservatori in Parlamento. Almeno cento direi - più o meno un terzo dei deputati tory - aderiscono realmente a questa retorica. Secondo me non hanno studiato bene la questione: la loro è una preferenza ideologica, non una politica ragionata. Sfortunatamente, il primo ministro su questo punto ha ceduto. Vedremo quanto vale la sua minaccia di lasciare l'UE anche senza un accordo, ma questa non è l'opinione né della maggioranza del suo partito, né del Parlamento in generale e neppure della maggioranza dei britannici, che hanno votato la Brexit, ma non per spaccare tutto quanto nei nostri rapporti con l'UE.

“Si vogliono due cose insieme”

In conclusione, quale potrebbe essere secondo Theresa May il "best deal", il miglior accordo per la Gran Bretagna nel negoziato che comincia adesso?

Il meglio sarebbe di conservare in qualche modo l'accesso al mercato unico senza doversi conformare alle sue regole. Ma dato che questo è impossibile, il Governo cercherà di ottenere un massimo di libero scambio senza concessioni sulla libertà di movimento delle persone. Mi sembra questo l'essenziale. Sarà difficile, ma visto lo stato dell'opinione pubblica - così concentrata sul "noi", sul controllo delle frontiere e l'immigrazione - per Theresa May è la linea rossa sulla quale sacrificherà parte del libero scambio con l'UE. Potrebbe riuscirle più facilmente se cercherà di negoziare settore per settore - il più importante è quello dei servizi finanziari- piuttosto che puntare a un accordo globale. Il problema è che vogliono due cose insieme: negoziare allo stesso tempo i termini del divorzio e un nuovo rapporto di libero scambio con l'UE. Ma per questo, due anni non saranno mai sufficienti.

Silvia Piazza

Per saperne di più il nostro dossier L'Europa sull'orlo di Brexit

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