Un insegnante sulla cinquantina, una mamma, un ex-dipendente statale e un giovane arrabbiato.
Sono tutti in coda, alle 8 del mattino davanti a un cancello marrone.
Aspettano di tornare in Siria, malgrado le bombe che si sentono cadere in lontananza.
Le case di Kobane sono lì, a poche centinaia di metri. I fanatici dello Stato Islamico assediano la città da est, da ovest e da sud. Il confine nord invece è questo: un pezzetto di terra che separa la Siria dalla Turchia.
Sono fuggiti a decine di migliaia. Oltre 160.000 in tutta la regione, molti passando per questo valico di frontiera. Tra chi è fuggito, stamane qualcuno ritorna in Siria. Per necessità, come questa mamma, che deve recuperare vestiti per i suoi bambini. O per rabbia, come Fais Mohammed, che vuole combattere accanto alle “Unità di difesa popolare”, il braccio armato del principale partito curdo in Siria.
In lontananza riecheggiano colpi di artiglieria e di armi pesanti. Ma qui nessuno sembra farci caso.
Si attende con pazienza il proprio turno. Si apre il cancello, si spalancano di nuovo le porte dell’inferno. La guerra è lì, oltre i binari della ferrovia. La stazione di Mursitpinar segna il confine tra Turchia e Siria. Ahmed scuote la testa: perché la coalizione occidentale non ci aiuta? Dobbiamo difenderci da soli. Lui è pronto. Tornerà a Kobane per imbracciare il fucile e combattere contro i miliziani del Califfato. Ma la mamma in attesa di varcare il confine, no. Lei stasera scapperà di nuovo in Turchia per riabbracciare i suoi tre figli.
Emiliano Bos
RG 12.30 del 01.10.14 - Il reportage di Emiliano Bos