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L'isola che (non) c'è

Lo sguardo poetico di Rosi su Lampedusa, unico film italiano in concorso alla Berlinale

  • 13 febbraio 2016, 20:10
  • 7 giugno 2023, 17:30
La locandina di Fuocoammare

La locandina del film

  • Istituto Luce

Alla proiezione stampa dell’unico film italiano in Concorso alla 66esima Berlinale si è registrato

uno scroscio di applausi

È paradossale che le immagini più belle e poetiche fra i film visti finora sull’immenso schermo del Berlinale Palast non siano quelle costruite a tavolino sullo storyboard di una megaproduzione hollywoodiana, ma quelle rubate alla drammatica quotidianità di Lampedusa.

Fuocoammare di Gianfranco Rosi - che nel 2013 con Sacro GRA vinse il Leone d’oro a Venezia - è un documentario nato dopo oltre un anno di totale immersione del regista nella vita dell’isola siciliana. Un’opera densa, commovente, che coinvolge perché non si schiera dietro a facili sentimentalismi o a prese di posizioni politiche, ma parte descrivendo la vita di tutti i giorni di Samuele, un dodicenne che adora costruire e usare le fionde, non eccelle nello studio, scopre di avere un occhio “pigro” e per correggerlo deve portare degli appositi occhiali.

"L'importante è stato immergermi completamente nella realtà dell'isola" (G. Rosi)

Osservando le giornate del ragazzino, lo spettatore viene piano piano a contatto con il mondo che lo circonda: con il mare in cui suo padre lavora come pescatore, con le notizie nei telegiornali sugli sbarchi di immigrati sull’isola.

Il dottor Bartolo sui maxischermi durante la conferenza stampa

Il dottor Bartolo sui maxischermi durante la conferenza stampa

  • RSI

La macchina da presa entra sempre più all’interno di questa realtà, prima partecipando alle operazioni di salvataggio dei clandestini in capitaneria, poi salendo sulle imbarcazioni per il loro recupero, infine conoscendo da vicino i corpi – feriti, malati ma anche in dolce attesa – dei superstiti. Un medico, il dottor Bartolo, racconta la difficoltà di venire a contatto con il dolore fisico e morale, di fare le autopsie sui corpi: un’esperienza a cui non ci si può abituare, spiega.

"Parlare di queste cose ogni volta mi fa male" (Dr Pietro Bartolo)

Le immagini

Dalle immagini emerge anche la voglia di ricominciare di questi popoli in fuga, come nella sequenza del canto liberatorio di chi è stato costretto a vivere la guerra, o in quella che riprende un momento di ricreazione calcistica.

Francesca Felletti

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