Oggi, la storia

Felicità responsabile

di Lina Bertola

  • 26 maggio 2016, 09:05
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Oggi, la storia
Giovedì 26 maggio 2016 - 07:05

Felicità responsabile

Oggi, la storia 26.05.2016, 07:05

Sempre più spesso le persone con cui mi capita di dialogare su questioni etiche mi chiedono quali siano le nostre responsabilità nei confronti delle sofferenze e della ingiustizie del mondo. È giusto, ma soprattutto, è possibile godere di un’autentica felicità in un mondo che ci ricorda costantemente calamità, ingiustizie e bisogni primari non soddisfatti? La domanda è spesso accompagnata da una sensazione d’impotenza, una di quelle “passioni tristi” assai diffuse oggi.

Si tratta di un interrogativo etico fondamentale che interpella i nostri sentimenti di appartenenza e di condivisione: quella fratellanza, insomma, sempre più trascurata tra i valori illuministici con cui abbiamo pensato il progresso dell’umanità.

L’etica degli antichi può forse aiutarci a trovare un senso alla felicità individuale, non come chiusura individualistica, ma al contrario proprio come apertura alla percezione di una appartenenza comune.

Per l’etica antica la felicità è il fine e insieme la motivazione dell’agire morale. Perché devo agire moralmente? Perché devo preferire il bene? Perché ciò mi rende felice.

Questa felicità è dunque impegno etico che non si realizza nell’attimo fuggente, nella gioia di un momento, ma si esprime nel tempo, nella trama della nostra vita, in cui sperimentiamo anche le ombre della tristezza, della nostalgia, del dolore.

Il bene che ci rende felici, caratteristico della grecità, assume espressioni diverse nei diversi filosofi.

Scelgo qui la voce di Epicuro, che mi sembra particolarmente vicina al nostro modo di interrogarci. Epicuro vive in epoca ellenistica, quando, proprio come oggi, appare indebolito il sentimento di appartenenza alla polis, e si rivolge al singolo individuo, alla dimensione privata della sua esistenza.

Epicuro ci dice che il piacere è “ principio e fine del vivere beatamente”. Ma non tutti i piaceri sono da scegliere, perché alcuni desideri sono naturali e necessari, altri non lo sono e arrecano dolore se non soddisfatti. Riconoscere e scegliere bisogni naturali e necessari ci rende autosufficienti, e felici, perché ci impedisce di diventare schiavi dei desideri.

È evidente l’attualità di questo messaggio. Un messaggio che ci invita a ripensare desideri e bisogni e in essi la percezione della felicità. E a superare così quel sentimento di impotenza che troppo spesso diventa un alibi; perché, come ricorda Vandana Shiva, “la povertà non è uno stato inziale del progresso umano da cui dobbiamo fuggire. È lo stato finale in cui le persone cadono quando uno sviluppo unilaterale distrugge ciò che ha mantenuto, per ere, la vita, la salute e il nutrimento dei popoli”.

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