Oggi, la storia

La figura del padre, paesaggio dell’anima

di Lina Bertola

  • 19 marzo 2015, 08:05
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Oggi, la storia 19.03.15

Oggi, la storia 19.03.2015, 07:05

Io ho quasi un ritratto
del mio caro padre, nel tempo,
ma il tempo se lo porta via…
Mio padre nel giardino di casa nostra
mio padre tra i suoi libri, che lavora.
Gli occhi grandi, l’alta fronte
il viso scarno, i baffi lisci.
Mio padre nel giardino della nostra casa
medita, sogna, soffre, parla forte.
Passeggia- Oh padre mio ancora
sei lì e il tempo non ti ha cancellato!
Ormai sono più vecchio di te, padre mio, quando
mi baciavi.
Ma nel ricordo, sono anche il bimbo che tu
conducevi per mano.

Nella ricorrenza di oggi, ho voluto citare alcuni versi del poeta andaluso Antonio Machado, nato a Siviglia nel 1875 e morto in Francia nel 1939.

Perché ho scelto questa poesia? Perché, al di là delle molteplici letture storiche, sociologiche o psicologiche della figura del padre, questi versi mi invitano a parlarne come figura del tempo. La figura paterna, infatti, nutre e colora, in ognuno di noi, l’esperienza più intima del tempo.

Di questa esperienza, le parole del poeta si offrono come una bella metafora per molti altri racconti possibili. L’intrecciarsi di presenza e assenza (sei ancora lì, dice Machado) confonde, letteralmente fonde assieme, gli sguardi sulla vita; e li riverbera, nel tempo e nelle sue durate, sui momenti della mia esistenza: “ormai sono più vecchio di te” (il padre lo lasciò quando lui era ancora molto giovane) “ma sono anche il bimbo che tu conducevi per mano”. In racconti come questo, forse, ci siamo dentro tutti.

In un’epoca che spesso ci costringe a sperimentare la vita dentro un tempo sempre presente, senza respiro e senza significato fuori di sé, mi piace leggere la relazione con la figura del padre, in tutte le sue declinazioni, felici o dolorose, come paesaggio dell’anima. A ricordarci che la vita, nonostante le parole del fare, dell’agire, del produrre e del consumare che vogliono raccontarla, è soprattutto altrove, nell’ intimo luogo della sua trascendenza. Quella trascendenza per cui, nell’incontro con l’altro, noi non saremo mai soltanto quello che siamo ora.

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