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Cooperazione internazionale: multinazionali d’avanguardia

di Pietro Veglio

  • 22 February 2017, 12:20
Assemblea delle Nazioni Unite

Assemblea delle Nazioni Unite

  • Keystone

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Mercoledì 22 febbraio 2017 alle 12:20

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a fine settembre 2015 gli Obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere dalla comunità internazionale entro il 2030. Gli stessi spaziano su molte dimensioni dello sviluppo socio-economico, dall’eradicazione della povertà assoluta alla sicurezza ambientale, all’accesso all’acqua, salute e educazione passando per lo sviluppo delle energie rinnovabili, la lotta contro i cambiamenti climatici, la promozione di nuovi posti di lavoro, salari decenti, pace, giustizia sociale e parità fra i sessi. Obiettivi molto ambiziosi per riconvertire il sistema economico globale verso attività più sostenibili dal profilo economico, ambientale e sociale. Riconversione complessa che richiederà dal mondo imprenditoriale e finanziario nuovi orientamenti strategici e grossi investimenti a fronte di benefici di cui approfitterà soprattutto la prossima generazione.

Mobilitare le enormi risorse finanziarie necessarie per finanziare questo progetto visionario rappresenta una sfida nella sfida. Anche perché il dilagante nazionalismo economico non è decisamente in sintonia con l’ambizione planetaria onusiana. E poi perché gli aiuti pubblici allo sviluppo basati sulla solidarietà internazionale (attualmente US$ 140 miliardi annui) sono e saranno nettamente insufficienti e quantitativamente marginali. Occorrerà quindi mobilitare il potenziale rappresentato dai fondi pensionistici, fondi di ricchezza sovrani, finanziamenti bancari e di istituzioni internazionali cosi come partenariati pubblici-privati. Infine bisognerà potenziare l’efficacia dei sistemi e delle amministrazioni fiscali dei paesi industrializzati, emergenti ed in sviluppo e migliorare sostanzialmente la pertinenza e l’impatto delle spese pubbliche.

Ma ci sono anche fatti più incoraggianti. Alcune importanti imprese multinazionali e associazioni imprenditoriali globali (per ora una minoranza, ma con potenziale di crescita), non solo accettano di integrare gli obiettivi dello sviluppo sostenibili nelle loro strategie aziendali, ma dichiarano pubblicamente che:

  • L’approccio commerciale tradizionale non è più adeguato;

  • I governi dovrebbero creare condizioni-quadro adeguate affinché i costi ambientali e sociali derivanti dall’utilizzo delle energie di origine fossile ed altre risorse naturali vengano internalizzati, per esempio tramite una tassa sulle emissioni di CO2;

  • Le politiche fiscali nazionali dovrebbero evolvere verso una tassazione che penalizzi l’impatto ambientale negativo e l’utilizzo smisurato delle scarse risorse naturali, per esempio l’acqua;

  • Sono necessari finanziamenti privati e pubblici addizionali per implementare progetti coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e con effetti positivi tangibili sul raggiungimento degli stessi;

  • Le multinazionali si devono impegnare a pagare le tasse in modo trasparente nei paesi di estrazione delle materie prime e di produzione delocalizzata cosi come creare nuovi posti di lavoro versando salari decenti e contribuendo all’espansione dei consumi locali.

Queste proposte sono state fatte recentemente dalla Commissione per il commercio e la sostenibilità nel rapporto: Better Business Better World, una commissione composta da rappresentanti ad alto livello di alcune multinazionali. Certo, dovranno ancora essere tradotte in strategie aziendali e modelli di business sostenibili dai rispettivi consigli di amministrazione. Cosa non evidente perché si fondano su una visione dei profitti compatibili con l’imperativo della sostenibilità ma solo a media e lunga scadenza. Una presa di coscienza salutare che dovrebbe far riflettere non solo altre imprese ma anche parecchi governi!

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