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Francia e Italia, le difficili riforme del lavoro

di Gianfranco Fabi

  • 27 May 2016, 12:20
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Venerdì 27 maggio 2016 - 12:20

"La politica economica deve favorire l’occupazione, anziché ridurla”. Con queste parole il prof. Sergio Rossi concludeva la scorsa settimana un suo, come sempre puntuale commento in questa stessa rubrica. Non si può che essere d’accordo. Misure che possano sostenere attivamente l’occupazione appaiono fondamentali soprattutto in una fase come quell’attuale dove la stagnazione economica da una parte e l’innovazione tecnologica dall’altra rendono difficile non solo la creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche il mantenimento di quelli esistenti.

I posti di lavoro dovrebbero comunque essere creati dal mercato e quindi solo lo sviluppo economico, una maggiore domanda di beni e servizi, un aumento degli investimenti pubblici e privati possono aprire la strada a una crescita dell’occupazione. Interventi di carattere amministrativo e legislativo possono sicuramente aiutare, ma cercando di salvaguardare quel difficile quanto necessario equilibrio tra le garanzie per i lavoratori e le altrettanto importanti esigenze di flessibilità e competitività delle imprese.

Quanto sia difficile questa strada lo dimostrano le attuali esperienze di due grandi paesi europei: l’Italia e la Francia.

In Italia si sta infatti assistendo alla sostanziale inefficacia della riforma del mercato del lavoro varata lo scorso anno con l’ambizioso titolo di Jobs act. I posti di lavoro sono sì aumentati negli ultimi mesi, ma soprattutto grazie alla presenza di forti incentivi economici e alla riduzione delle tutele che hanno reso più convenienti per le aziende i contratti a tempo indeterminato, contratti comunque facilmente revocabili.

In Francia si è invece aperto nelle ultime settimane un periodo di grandi scontri sociali di fronte alla volontà del governo di varare una riforma, la loi travail, con diverse caratteristiche. La riforma ha infatti al suo centro la modifica sostanziale dei termini e dei vincoli della contrattazione riducendo il peso dei contratti nazionali e lasciando maggiore efficacia agli accordi a livello aziendale o territoriale. Il codice del lavoro e gli accordi nazionali avranno il solo compito di fissare i principi e il quadro normativo validi soprattutto quando manca un accordo aziendale.

Il problema di fondo, sia nel caso italiano che in quello francese, è che si tenta di intervenire sul mercato del lavoro riducendo le garanzie dei lavoratori mentre le politiche necessarie dovrebbero puntare sulla formazione, l’acquisizione di nuove professionalità, la capacità di affrontare su basi nuove la complessità. In pratica quella che si chiamano politiche attive del lavoro.

Infatti la quarta rivoluzione industriale che stiamo affrontando, dopo quella delle macchine, della catena di montaggio, dell’automazione, è un rivoluzione che si basa sulle tecnologie digitali, sull’intelligenza artificiale. Come le precedenti rivoluzioni distrugge posti di lavoro, ma proprio come nel passato ne crea di nuovi, ovviamente con nuove competenze, nuovi interessi, nuove prospettive. E ci sarà sempre più bisogno non solo di specialisti, ma anche e soprattutto di persone capaci guardare alla realtà a 360 gradi.

Per questo è fondamentale il ruolo dello Stato: per sostenere la formazione, la riqualificazione, la ricerca, oltre alla gestione delle conseguenze sociali dei cambiamenti.

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