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I molti paradossi delle banche centrali

di Gianfranco Fabi

  • 23 gennaio 2015, 13:20
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  • Keystone

Plusvalore 23.01.15

Plusvalore 23.01.2015, 13:20

Mai come in questo periodo le Banche centrali sono state e restano al centro dei dibattiti e delle polemiche economiche. Soprattutto per due fatti: la decisione della Banca nazionale svizzera di interrompere la difesa della quotazione del franco e, sull’altro fronte, la scelta della Banca centrale europea di seguire l’esempio americano e giapponese acquistando titoli di Stato nel tentativo di sostenere la ripresa economica.

Non voglio soffermarmi su questi due temi già ampiamente commentati in questa rubrica e nei programmi di attualità. Ma vorrei sottolineare come sullo sfondo vi siano non solo problemi di politica e di strategia monetaria, ma anche l’assetto stesso di quel sistema economico, non a caso chiamato capitalismo, in cui la moneta continua ad essere, o ad essere considerata, l’asse portante e insieme il perno attorno a cui ruota tutto il sistema.

In questa fase molti hanno pubblicamente criticato le scelte operate dalle banche centrali, ma nessuno si è spinto fino a mettere in discussione l’esistenza di questi istituti che sono di fatto un monopolio, ma che sono tuttavia considerati come un elemento indispensabile per garantire quello che sicuramente un bene pubblico, come il denaro. Un bene che non serve solo a facilitare gli scambi, ma che è anche uno strumento per ottenere e conservare la ricchezza pubblica e soprattutto privata.

Il problema di fondo tuttavia è nel fatto che gli strumenti che le banche centrali possono utilizzare, il controllo della quantità di moneta e dei tassi di interesse, appaiono limitati e insufficienti di fronte ad un mercato dei capitali che solo in minima parte è costituito dallo scambio fisico di banconote e monete. Come possiamo vedere anche dalla nostra esperienza di tutti i giorni, prendono sempre più spazio i pagamenti virtuali, quindi senza l’impiego di monete e banconote, insieme alla creazione di strumenti finanziari sempre più sofisticati che moltiplicano i capitali, con quello che viene chiamato effetto leva. Pur senza arrivare alla definizione di Warren Buffet, che definiva i derivati come attività finanziarie di distruzione di massa, resta il fatto che il credito ombra, quello nascosto nella finanza più innovativa, sfugge in gran parte alle regole e alle verifiche. E alle banche centrali viene a mancare la possibilità di conoscere le reali necessità dei mercati. E’ come se si volessero controllare i movimenti delle persone senza sapere quante sono e ponendo dei limiti al traffico delle automobili mentre gli spostamenti avvengono sempre di più in aereo.

Con un altro importante paradosso. Le banche centrali sono e devono essere , almeno nella tradizione e negli ordinamenti occidentali, indipendenti dal potere politico. Questo per evitare che la politica usi il potere di emettere moneta per aumentare il proprio consenso favorendo qualche settore particolare della società. Ma alla politica resta comunque in mano l’altra metà della strategia economica: quelle scelte fiscali e di bilancio che possono avere ancora più efficacia se strettamente coordinate con la politica monetaria. E invece ci si aspetta, come avviene ora in Europa, che la banca centrale usi anche sistemi non convenzionali per sostenere le economie in difficoltà, economie che peraltro otterrebbero maggiori benefici proprio dalle riforme di struttura e dai tagli alla pressione fiscale che spettano al sistema politico.

Le strategie delle banche centrali possono quindi prestare il fianco a molte critiche e lo stesso sistema dei pagamenti e dei controlli, come abbiamo visto, ha molti difetti. Ma finora nessuno è riuscito a inventarne uno migliore.

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