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Il cavallo di Troia dello stato sociale

di Fabrizio Zilibotti

  • 28 aprile 2016, 14:20
Iniziativa 5 giugno: reddito di base incondizionato per tutti

Il 5 Giugno i cittadini svizzeri sono chiamati ad esprimersi sull’iniziativa “reddito di base incondizionato”. Se l’iniziativa dovesse passare, a tutti sarebbe garantito un reddito mensile minimo di 2500 Franchi.

  • Keystone

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Giovedì 28 aprile 2016 - 12:20

Il 5 Giugno i cittadini svizzeri sono chiamati ad esprimersi sull’iniziativa “reddito di base incondizionato”. Se l’iniziativa dovesse passare, a tutti sarebbe garantito un reddito mensile minimo di 2500 Franchi. Puo’ sembrare un’idea brillante. Perchè no? Infatti ci si potrebbe chiedere perchè solo 2500 Franchi? Perchè non 4 o 5 mila franchi?

La ragione è semplice: la ricchezza di una nazione non è data dalla quantità di moneta a disposizione delle famiglie. Questi non sono che pezzi di carta. La ricchezza si misura con il valore della produzione di beni e servizi. Un buon sistema economico garantisce a tutti i cittadini la possibilità di contribuire allo sforzo produttivo fruendone dei benefici. Al contrario, questa iniziativa propone che i cittadini possano scegliere se essere responsabili del proprio sostentamento e benessere economico oppure vivere a spese dello sforzo altrui. Una bella inversione del vecchio principio della sinistra che diceva “chi non lavora non mangia.”

Hanno ragione i sostenitori a dire che si tratterebbe di una rivoluzione copernicana. Fino ad oggi, politici ed economisti che come me credono nel diritto-dovere della solidarietà sociale si sono arrovellati alla ricerca di meccanismi di redistribuzione che evitino la perdita di risorse collettive e limitino comportamenti opportunistici che minano la base del moderno stato del benessere. Ho vissuto per anni in Svezia, dove la socialdemocrazia locale ha a cuore da sempre il principio della sostenibilità sociale delle politiche redistributive. Sostenibilità vuol dire che chi paga sente di far onore ad un principio di solidarietà e responsabilità sociale nei confronti dei meno fortunati, non già a quello di finanziare fannulloni e opportunisti, come invece sostiene la retorica della destra individualista.

Qui invece i promotori dichiarano senza pudore che l’obiettivo è quello di sostituire al principio dell’assicurazione sociale quello di un diritto primitivo basato sul concetto di esistenza. Chi esiste e non intende lavorare acquisirebbe un diritto permanente ad una parte delle risorse prodotte dai cittadini operosi.

Quali sarebbero le conseguenze economiche e sociali di un’improbabile vittoria dei promotori? Nel giro di pochi anni, il tasso di disoccupazione crescerebbe oltre il 10%. Fa sorridere l’ottimismo basato su sondaggi condotti su chi ha già un lavoro. Effettivamente, non vi sarebbe una corsa immediata all’autolicenziamento. Invece, vedremmo un progressivo prolungamento dei periodi di disoccupazione, periodi di distacco dal mercato del lavoro, forme di prepensionamento, e cosi’ via. Si creerebbero inoltre sacche di cultura della dipendenza, ovvero gruppi in cui la disoccupazione permanente diventa una condizione accettabile sulla base dell’osservazione che molti amici sono anch’essi disoccupati. Ai figli verrebbero trasmessi valori secondo cui “non c’è nulla di male nel non lavorare” e cosi’ via. L’obiezione comune è che la cultura svizzera sia immune da questi rischi. Non credo a questo mito. Vi sono numerosi esempi di cambiamenti istituzionali che inducono rapidi cambiamenti culturali, soprattutto in un mondo sempre piu’ globalizzato.

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