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Il coro delle disuguaglianze

di Silvano Toppi

  • 19 January 2017, 12:20
Il coro delle disuguaglianze
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Giovedì 19 gennaio 2017 alle 12:20

Sino a quando sentiremo ripeterci che otto paperoni accumulano una ricchezza pari a quella di 3.5 miliardi di poveri o che l’1 per cento delle persone più facoltose del mondo posseggono quanto il restante 99 per cento? Si rimane sconcertati (forse alcuni increduli, altri annoiati, altri indifferenti) a sentirselo ripetere da anni, non solo dai mezzi di comunicazione, ma - con cifre che rilevano sempre la mostruosa diseguaglianza crescente - da organismi internazionali (come il Fondo monetario o la Banca mondiale con rapporti allarmanti, l’Onu con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, l’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economici con dati e raccomandazioni ai governi). O, in questi giorni, da forum internazionali, come quello di Davos, in cui appaiono coloro che manovrano economia e finanza del mondo, costretti a sostenere che le ineguaglianze crescenti e diffuse sono terreno fertile per populismi minacciosi. La direttrice del Fondo monetario, Lagarde, vi ha sostenuto ieri l’imperativo di una diversa politica ridistributiva della ricchezza creata.

Nel primo giorno di questo nuovo anno è morto un grande economista inglese, Anthony Atkinson. Uno che non avrebbe mai preso il premio Nobel per l’economia perché di fatto criticava l’economia e la politica dominanti come generatori sistematici di ineguaglianza e povertà. C’è una lezione di Atkinson che andrebbe ritenuta, anche al nostro livello locale. Le cause delle forti e sempre più crescenti diseguaglianze dei redditi su cui spesso ci si concentra- e cioè la globalizzazione, il progresso tecnologico, le evoluzioni demografiche- non possono essere separate dai fattori nazionali, locali, specifici, come le scelte fatte dai governi per i sistemi fiscali e di protezione sociale. Bisognerebbe “apprendere dal passato”, dice Atkinson, ponendoci due domande: 1) perché la diseguaglianza è diminuita nel secondo dopoguerra?; 2) perché quella tendenza egualitaria si è invece rovesciata in una crescita disegualitaria a partire dagli anni Ottanta?

Le risposte di Atkinson sono nette, dimostrate. I fattori che maggiormente spiegano il periodo di riduzione delle diseguaglianze sono stati tutti politici: il welfare state e l’espansione dei trasferimenti pubblici, la crescita della quota dei salari sulla ricchezza aggiunta dovuta anche alla forza dei sindacati, la ridotta concentrazione della ricchezza personale con imposte anche sulle successioni, la contrazione della dispersione salariale come risultato di interventi legislativi dei governi e della contrattazione collettiva sindacale. E altrettanto politiche (ma di segno opposto) sono le ragioni che hanno condotto a un rovesciamento della situazione: tagli allo Stato sociale, declino della quota dei salari sul valore aggiunto (con una responsabilità specifica nell’incremento della precarietà o della disoccupazione), crescente ampliamento delle differenze salariali, minore forza sindacale, minore capacità redistributiva del welfare e del sistema di tassazione, il quale ha finito per privilegiare, in nome della crescita che non c’è più, profitti e azionisti.

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