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Il franco resta forte ma le politiche sono deboli

di Sergio Rossi

  • 23 gennaio 2017, 13:20
Svizzera, Valuta, Moneta, Numero 20, Valuta svizzera
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Lunedì 23 gennaio 2017 alle 12:20

Il franco resta forte ma le politiche sono deboli

Plusvalore 23.01.2017, 13:20

Sono ormai trascorsi due anni da quando la Banca nazionale svizzera ha annunciato la soppressione della soglia minima di cambio di 1 franco e venti per euro. Dal mese di gennaio 2015 a oggi, il tasso di cambio del franco è rimasto relativamente stabile e il prelievo di una tassa sui depositi delle banche presso l’autorità monetaria elvetica è finora stato inefficace per ridurre la forza del franco svizzero nel mercato dei cambi. Il ripetuto intervento della BNS su questo mercato ha però fatto ulteriormente crescere la massa monetaria in Svizzera, inducendo molte istituzioni finanziarie a far pagare ai loro depositanti i costi generati dalla politica dei tassi di interesse negativi.

Se è facile identificare nei piccoli risparmiatori, quindi nel ceto medio, i perdenti della politica monetaria attuata dalla Banca nazionale svizzera, i cui tassi negativi pesano, in un modo o nell’altro, su questa parte importante della popolazione residente, non è altrettanto facile individuare le categorie di soggetti economici che sono favorite dalla strategia attuale della BNS. È però indubbio che molte imprese traggano dei vantaggi dalla forza del franco nei mercati valutari, in quanto importano delle merci a costi ben inferiori rispetto agli anni durante i quali la BNS applicava la soglia di cambio minimo. Spesso però sono queste stesse imprese che spingono al ribasso salari e stipendi di una parte rilevante dei loro collaboratori, con il pretesto che il franco forte comprime il margine di guadagno aziendale e spinge le imprese a dislocare una parte dell’attività, riducendo dunque l’occupazione in Svizzera.

In sostanza, l’argomento della “competitività” aziendale è usato quale giustificazione, o pretesto, per ridurre la massa salariale e aumentare gli utili delle imprese anche nei casi in cui esiste la possibilità di investire nel campo dell’innovazione, beneficiando di tassi di interesse storicamente molto bassi e che lo resteranno a lungo, in assenza di una politica economica orientata alla piena occupazione – come lo erano le politiche di stampo keynesiano attuate durante i cosiddetti “Trenta gloriosi anni” che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale.

Ciò significa che, se i politici al governo lo volessero, ci sarebbero tutti gli strumenti di politica economica necessari e sufficienti per sostenere l’economia svizzera e il ceto medio della popolazione abbandonando l’ideologia neoliberista all’origine della crisi.

L’onestà intellettuale dovrebbe essere il primo elemento da mobilizzare a tal fine, per riconoscere che le politiche neoliberiste non possono logicamente servire per uscire da una situazione di crisi grave e profonda che queste stesse politiche hanno creato.

Il secondo elemento da considerare è invece la Storia, i cui insegnamenti sono chiari e numerosi per chi ha la capacità di intendere e volere.

In assenza di questi due elementi non ci si dovrà stupire se il franco resterà forte e la disoccupazione involontaria tenderà ad aumentare in Svizzera.

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