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L’economia incompresa

di Gianluca Colombo

  • 28 marzo 2017, 14:20
L’economia incompresa
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Martedì 28 marzo 2017 alle 12:20

Venerdì scorso, ho avuto un’esperienza imbarazzante. Ho partecipato a una conferenza all’USI sul tema: Etica e impresa. Il principale relatore al deficit etico i problemi del sistema economico mondiale che si snodano dagli anni settanta del novecento alla profonda crisi del 2008. Dal crollo demografico dei Paesi occidentali, si è generata la progressiva erosione del risparmio delle famiglie, l’indebitamento di famiglie e Stati, la crescita dei consumi privati (il consumismo a debito), le delocalizzazioni, la disoccupazione e via dicendo.
Devo ammettere che il quadro presentato è affascinante. Senza riferimenti etici, le persone tendono a preferire il male, perché più conveniente del bene. Il profitto immediato sostituisce il duro lavoro, l’investimento dei risparmi, i processi d’innovazione. Ovviamente un sistema economico come quello descritto non ha futuro. Siamo destinati a passare da bolle speculative a crisi drammatiche.
Le mie ricerche si orientano a fenomeni micro, allo studio delle aziende. Tendo perciò a diffidare dei grandi affreschi, che secondo me esagerano nelle semplificazioni. Preferisco insomma le miniature, le micro-storie dei successi e dei fallimenti aziendali. La mia reazione è stata: anche nel quadro critico descritto, operano milioni d’imprese orientate al bene comune. Sono spesso piccole e medie imprese locali, ma talvolta assumono grandi dimensioni internazionali. Le troviamo in tutti i Paesi. Sono aziende familiari che trasmettono i valori etici coltivati all’interno delle famiglie nella cultura d’impresa. Sono aziende, governate da famiglie che esercitano con responsabilità i ruoli proprietari; non possono rincorrere il profitto immediato, perché si collocano in una dimensione multigenerazionale.
Le famiglie proprietarie, anche se molto numerose (è normale che gli azionisti crescano dopo due o tre generazioni), sono coese intorno ad un nucleo forte di valori. La loro coesione assicura alle imprese leadership forti. Riescono così a sopravvivere alle crisi continuando nella ricerca dell’innovazione strategica. Molte imprese quotate in borsa appartengono a questa categoria. È quindi possibile convivere con la finanza moderna, senza deviare dagli obiettivi di lungo periodo.
Il mio interlocutore a questo punto sostiene che le imprese familiari sono scomparse dall’orizzonte economico almeno se ci riferiamo alle grandi imprese e soprattutto a quelle quotate in borsa. Non serve fare nomi per smentire la tesi, bastano pochi numeri. Un mio studente ha recentemente costruito un interessante base dati sulle imprese quotate in Svizzera, Italia e Germania. A Zurigo sono quotate 49 imprese familiari, a Milano: 289 e a Francoforte: 493. Non possiamo certo sostenere che tutte queste imprese sono orientate al bene comune. Possiamo però certamente provare che le aziende familiari sono vive e vegete e riescono a convivere anche con le logiche dei mercati finanziari. È un peccato che questo lato dell’economia sia così spesso trascurato a favore del mito della separazione tra proprietà e controllo con il conseguente risultato della finanziarizzazione dell’economia.

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