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Le illusioni del “tasso naturale di disoccupazione”

di Sergio Rossi

  • 17 aprile 2017, 14:20
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Lunedì 17 aprile 2017 alle 12:20

Le illusioni del “tasso naturale di disoccupazione”

Plusvalore 17.04.2017, 14:20

Sono ormai trascorsi già 50 anni da quando Edmund Phelps, prontamente sostenuto da Milton Friedman, lanciò l’idea (poi diventata un dogma) dell’esistenza di un “tasso naturale di disoccupazione” nel sistema economico contemporaneo. Secondo questa idea, di stampo neoliberista, né lo Stato né la banca centrale devono intervenire per sostenere la domanda nel mercato dei prodotti, quando il tasso di disoccupazione si trova al suo livello “naturale”. Qualsiasi intervento pubblico sul lato della domanda, in questa situazione, comporterebbe infatti, secondo il pensiero dominante, un aumento del tasso di inflazione senza poter ridurre la disoccupazione nel lungo periodo (che in questo pensiero viene attribuita alle inadeguate competenze della maggioranza delle persone in cerca di un lavoro remunerato). Considerando l’impossibilità di misurare il “tasso naturale di disoccupazione”, che per esempio la Riserva federale stima al 5% nell’economia statunitense, gli economisti ortodossi pretendono che lo Stato debba in ogni caso evitare di intervenire per sostenere la domanda globale, perché questo suo intervento potrebbe spingere al rialzo i prezzi al consumo in modo tale da far perdere alla banca centrale il controllo delle aspettative di inflazione dei soggetti economici. Il costo finale delle politiche economiche che agiscono sul lato della domanda sarebbe perciò sempre maggiore dei loro supposti benefici a breve termine.

L’ipotesi di Phelps e Friedman è all’origine, tra molto altro, delle riforme strutturali che intendono agire sull’offerta nel mercato dei prodotti deregolamentando il mercato del lavoro, allo scopo di far combaciare meglio la domanda e l’offerta su questo mercato. In sostanza, eliminando tutti i contratti collettivi di lavoro e incentivando la formazione continua della popolazione attiva, lo Stato sarebbe in grado, secondo questa visione, di assicurare il pieno impiego in un sistema economico nel quale la politica monetaria deve limitarsi a garantire la stabilità dei prezzi al consumo nel lungo periodo. Queste condizioni–quadro potrebbero essere ulteriormente rafforzate se le finanze pubbliche fossero gestite in maniera equilibrata, evitando allo Stato di indebitarsi ma riducendo la spesa pubblica ogniqualvolta le risorse fiscali non bastano per pareggiare i conti.

In realtà, a 50 anni di distanza – e dopo un lungo trentennio di politiche neoliberiste – ben si capisce che il dogma della disoccupazione “naturale” è di carattere ideologico, in quanto intende sostenere la dottrina del “meno Stato e più mercato” senza valenza alcuna sul piano fattuale (oltre a quello concettuale e metodologico, come hanno ben messo in evidenza recentemente diversi economisti eterodossi). I politici al governo devono quindi emanciparsi intellettualmente dagli economisti del pensiero dominante se vogliono davvero contribuire a ridurre la disoccupazione. Altrimenti sarà naturale che le crisi economiche diventeranno la normalità nell’attuale capitalismo finanziario.

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