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Questione di latte

di Silvano Toppi

  • 8 giugno 2017, 14:20
Questione di latte
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Giovedì 08 giugno 2017 alle 12:20

In questa rubrica non si parla mai di agricoltura. A maggior ragione sembrerà strano parlare di latte. Due temi di attualità possono indurre a parlarne: la proposta di abbassare la franchigia da 300 a 50 franchi per contrastare il «turismo degli acquisti» oltre frontiera che danneggia l’economia; l’azione dei contadini svizzeri che esigono un aumento immediato del prezzo del latte in quanto, ottenendo un prezzo medio di 55 centesimi il litro, non riescono a coprire i costi.

Quando si confrontano i prezzi tra la Svizzera ed i paesi vicini, il prezzo del latte, alimento base, è uno dei maggiori imputati. Tra noi e i vicini europei la differenza oscilla tra i 20 e i 30 franchi al quintale. Anche qui si mette in causa il cambio euro/franco, ma non è il motivo essenziale.

La politica lattiera svizzera è complessa. Limitiamoci a dire che c’è un sostegno statale che può variare a seconda di vari fattori. Ciò che interessa rilevare è come si giustifica il maggior prezzo. Ci sono costi «economici» strutturali che fanno già di per sé notoriamente una grossa differenza con altri paesi: costi del terreno, degli stabili e salari più elevati, assicurazioni, protezione delle acque ecc. C’è però soprattutto a far la differenza «il valore aggiunto del settore lattiero svizzero», come dice in un rapporto da poco pubblicato il Consiglio federale. Il quale spiega che il settore lattiero svizzero presenta diversi vantaggi rispetto ad altri Paesi «in termini di argomentazione esclusiva di vendita». Che sarebbero: aziende a conduzione familiare tradizionali; attenzione particolare al benessere degli animali unica nel panorama mondiale; stabulazione disciplinata e vacche al pascolo (bisogna concedere agli animali almeno 26 uscite mensili al pascolo); foraggiamento basato sulla superficie inerbita e sul foraggio grezzo locale; produzione casearia prevalentemente artigianale (latte crudo); reputazione della Svizzera per la sua tradizione di alta qualità. Può sembrare una patriottica operazione di «marketing». Ma non lo è. Ci sono leggi, ordinanze e controlli molto più esigenti e severi che ci fanno diversi nell’Unione europea.

Si vogliono dunque preservare tradizione, qualità e, espressamente, natura e paesaggio. Lo stesso Consiglio federale teme che, puntando solo su mercato e produttività, si corra il rischio (cito) dello «stemperamento del valore aggiunto credibile della produzione lattiera, ad esempio mediante crescente impiego di alimenti concentrati, importati, ricorso eccessivo ad antibiotici».

A che fine tutto questo discorso? Bisognerebbe rendersi conto che il prezzo può andare oltre il semplice calcolo di mercato o di concorrenza e persino di interesse prioritariamente economico. Perché contiene appunto un elevato valore aggiunto in termini di rispetto della natura, di salvaguardia del territorio e dell’ambiente in cui si vive, di salute, di qualità controllata e di sicurezza del prodotto, di economia di prossimità. E tutto questo ha un maggior costo. Forse, più che ricorrere al deterrente franchigia, bisognerebbe educare e informare il cittadino-consumatore, rimanendo comunque attenti e meticolosamente esigenti affinché non si bari, facendo delle mucche delle macchine da latte, il produttivismo perversione della natura.

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