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Rinegoziare l’Accordo NAFTA: altissima posta in gioco

di Pietro Veglio

  • 8 February 2017, 12:20
Rinegoziare l’Accordo NAFTA: altissima posta in gioco
  • Keystone

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Mercoledì 08 febbraio 2017 alle 12:20

Il Presidente Trump vuole rinegoziare l’Accordo Nord-Americano di Libero Scambio (NAFTA) firmato da Canada, Messico e Stati Uniti ed entrato in vigore nel 1994. Ritiene infatti che l’Accordo sia la causa principale del deficit annuale di $ 58 miliardi della bilancia commerciale Stati Uniti-Messico e che il libero scambio sia una competizione nella quale ci sono solo vincitori o vinti. I vincitori sono i Paesi esportatori, i perdenti gli importatori. Vincente sarebbe quindi il Messico, mentre gli Stati Uniti sarebbero perdenti anche perché hanno sacrificato troppi posti di lavoro sull’altare del libero scambio delocalizzando la produzione in Messico, un Paese con salari nettamente inferiori. In caso di fallimento del negoziato Trump ha minacciato di abbandonare il NAFTA e prelevare una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico effettuate da imprese americane che hanno investito nel Paese vicino.

Una visione superficiale e un approccio unilaterale pericoloso. Perché non esiste una relazione causale fra deficit commerciali e accordi di libero scambio. Questi ultimi definiscono solo le regole per il commercio fra due o più Paesi e non ne determinano le conseguenze. I deficit dipendono invece dalle politiche macro-economiche domestiche e dal grado di competitività di un’economia o di determinati settori economici. Lo ha correttamente ricordato il ministro tedesco dell’economia evidenziando – in risposta alle accuse di Trump alla Germania di manipolare l’euro verso il basso - la maggiore qualità dell’industria automobilistica teutonica rispetto a quella americana.

L’Accordo NAFTA ha integrato due economie avanzate con una in sviluppo attraverso complesse catene di produzione integrate e localizzate nei tre Paesi membri. I flussi commerciali all’interno dell’Accordo equivalgono oggi a $ 1'100 miliardi. Il commercio di beni statunitensi con Canada e Messico è quasi il doppio di quello con la Cina e dieci volte superiore a quello con il Regno Unito. L’80% delle esportazioni messicane è diretta al mercato americano ma il 40% delle stesse incorpora beni intermedi “made in USA”. Le fibre sintetiche per le cinture di sicurezza delle automobili sono prodotte in Messico; intrecciate e colorate in Canada; tagliate e cucite in Messico; e assemblate con fibbie metalliche negli Stati Uniti o in Messico.

Su che basi l’amministrazione americana rinegozierà? Probabilmente solleciterà regole di origine dei prodotti finiti più severe esigendo che i componenti NAFTA raggiungano il 75% del valore del prodotto finale (invece del 62,5% attuale). Ciò penalizzerebbe le importazioni dall’Asia di beni intermedi. Trump potrebbe addirittura richiedere che il Messico rinunci all’IVA del 16% prelevata sulle importazioni americane. Esigenza inaccettabile dato che l’IVA è di competenza nazionale e si applica su tutti i prodotti.

Un negoziato commerciale implica concessioni, per esempio sulle semplificazioni doganali del commercio fra Paesi. E il contenzioso va al di là del commercio: la sicurezza alla frontiera-sud degli Stati Uniti; il controllo messicano dei flussi migratori dall’America centrale; l’assurda idea di costruire un muro fra Stati Uniti e Messico; e le rimesse dei migranti messicani negli States stimate in $26 miliardi annui.

La posta in gioco è altissima. Un fallimento avrebbe conseguenze drammatiche per il Messico.

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