Plusvalore

Se la polvere caduta a terra ha un odore di aria fritta

di Sergio Rossi

  • 30 novembre 2015, 13:20

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Lunedì 30 novembre 2015 - 12:20

Il gran polverone politico sollevato dall’Approfondimento della situazione del mercato del lavoro ticinese da parte di alcuni collaboratori dell’Istituto di ricerche economiche non fa certo onore all’insieme dei portatori di interesse sul piano cantonale. Per chi si è preso il tempo di leggere il centinaio di pagine di cui è composto questo studio, che è illeggibile dai non “addetti ai lavori” in quanto si concentra troppo sull’elaborazione statistica a discapito sia della sintesi analitica sia della chiarezza espositiva, sono più numerose le domande lasciate senza risposta che le risposte alle domande poste dai ricercatori dell’IRE, su mandato della Segreteria di Stato dell’economia.

Sorvoliamo qui sugli errori ortografici e di stile della lingua italiana, che ciononostante andrebbero corretti prima della pubblicazione di qualsiasi testo. Ciò che più svilisce il lavoro svolto da questi ricercatori (come accade ormai per la quasi totalità degli studi, o presunti tali, pubblicati dagli economisti matematici) è la loro pretesa di neutralità in base all’ipotesi che i dati a partire dai quali questi studi sono realizzati sono un “fatto” incontestabile. Questa parvenza di scientificità irrefutabile è rafforzata dall’uso (che in svariati casi è diventato un abuso) dello strumento matematico, veicolando agli ignari destinatari di questi lavori di ricerca l’impressione che le loro conclusioni di carattere economico siano ipso facto esatte e oggettive come lo è, generalmente, il risultato di un qualsiasi calcolo algebrico.

Il problema essenziale a questo riguardo è dato dal fatto che per raccogliere i dati sul piano economico bisogna prima dotarsi degli strumenti appropriati per rispondere alle domande poste – che non possono essere ridotte a dei quesiti matematici, in quanto, nella fattispecie, si tratta di analizzare dei problemi di ordine economico, ossia che in sostanza riguardano l’insieme della collettività e da risolvere nell’interesse generale.

Per esempio, se si vuole sapere “qual è l’impatto della maggior pressione migratoria – sia di stranieri residenti che di lavoratori frontalieri – sul rischio di disoccupazione per la popolazione residente in Svizzera e in particolare in Ticino”, i ricercatori dell’IRE non possono certamente limitarsi (come in realtà hanno fatto) a determinare “se l’impiegato nell’anno t–1 è rimasto lavoratore dopo un anno o è diventato disoccupato”. Bisogna anche integrare nell’analisi il numero di posti di lavoro creati e occupati dai frontalieri (o dagli stranieri non residenti), oltre a sapere quali sono nella fattispecie le caratteristiche dell’occupazione indigena nell’anno t, da raffrontare con quelle nell’anno precedente. Ignorare queste e molte altre dimensioni del problema occupazionale e raccogliere dati dall’apparenza scientifica mediante domande banali alle imprese, in un ambito particolarmente sentito dall’opinione pubblica, non può che suscitare le ire di chi si sente preso in giro con il denaro dei contribuenti.

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