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Spagna, i due volti della crescita

di Gianfranco Fabi

  • 28 ottobre 2016, 14:20
Spagna, i due volti della crescita

Parlamento spagnolo

  • Keystone

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Venerdì 28 ottobre 2016 alle 12:20

Se tutto andrà secondo le previsioni domani sera la Spagna avrà un nuovo Governo dopo 300 giorni di aperta crisi politica e due successive elezioni anticipate. Non verrà così superato il record del Belgio che è stato negli anni scorsi ben 541 giorni senza un Esecutivo nel pieno dei suoi poteri.

Eppure nonostante il sostanziale blocco dell’attività legislativa e un Governo solo per l’ordinaria amministrazione l’economia spagnola chiuderà questo 2016 con una crescita economica superiore al 3%, una crescita più o meno analoga a quella dell’anno precedente e ai livelli più alti nel panorama europeo.

È fin troppo facile la tentazione di trarre la conclusione che le decisioni dei Governi possano danneggiare l’economia più che aiutarla e che la mancanza di nuove leggi, decreti o regolamenti possa facilitare lo svilupparsi delle forze del mercato e quindi la stessa crescita economica.

Qualcosa di vero in questa affermazione c’è sicuramente. Nei paesi liberi le leggi dello Stato dovrebbero aiutare i mercati a funzionare meglio e invece spesso costituiscono un intralcio all’attività economica e allo spirito imprenditoriale. Nel caso di Madrid non bisogna tuttavia dimenticare che la crescita in questi ultimi due anni è stata dovuta in gran parte alle decisioni prese dal Governo Rajoy negli anni precedenti, così come ad uno scenario internazionale che ha favorito la realtà spagnola.

Sono state due le scelte strutturali che hanno posto le basi per questi mesi di espansione economica. In primo luogo la liberalizzazione del mercato del lavoro che ha aiutato la crescita dei posti di lavoro, con una disoccupazione che tuttavia rimane oltre il 20% e quindi è tra le più alte d’Europa. E poi la scelta di chiedere i fondi europei per risanare gli istituti di credito, prima dell’entrata in vigore delle regole contro gli aiuti di Stato, una leva fondamentale per spingere gli investimenti e attirare nuovi investimenti dall’estero.

Quest’anno poi è stato significativo l’aumento dei consumi interni trainato dall’aumento dei redditi reali, dai buoni risultati del settore turistico e, ultimo ma non meno importante, dall’effetto della crescita demografica avvenuta nei primi anni di questo secolo dopo l’arrivo di un rilevante numero di immigrati dall’America latina.

Il buon andamento del turismo, determinato dalle crisi che hanno colpito l’Egitto e l’intera fascia nordafricana, ha favorito anche la ripresa del settore immobiliare con un aumento della domanda da parte di tedeschi, francesi, inglesi e svedesi il che ha creato a sua volta effetti positivi sull’occupazione.

La paralisi politica ha peraltro contribuito ad ammorbidire la vigilanza europea sui conti pubblici: Bruxelles ha chiuso entrambi gli occhi di fronte al mancato rispetto delle promesse di portare il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo sotto il 3% ed è più che probabile che questa barriera sarà superata anche nel 2017.

La Spagna tuttavia ha ancora molti passi da compiere per colmare gli squilibri che si sono creati dopo la crisi del 2008. La crescita attuale, anche se significativa, resta infatti fragile. Nei settori turistico e delle costruzioni la nuova occupazione riguarda impieghi precari, a termine e con retribuzioni inferiori alla media. Il debito pubblico è aumentato, ma con i tassi di interesse vicini alla zero anche un debito che ha superato il 100% del Pil non sembra preoccupare. E in fondo è meglio una ripresa fragile che nessuna ripresa

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