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Svizzera e commercio delle materie prime

di Pietro Veglio

  • 26 ottobre 2016, 14:20
Svizzera e commercio delle materie prime
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Mercoledì 26 ottobre 2016 alle 12:20

Svizzera e commercio delle materie prime

Plusvalore 26.10.2016, 14:20

Grazie alla sua stabilità, allo statuto di piazza finanziaria ed alle sue infrastrutture la Svizzera è diventata una dei principali centri mondiali per il commercio delle materie prime. 1/3 del commercio internazionale delle materie prime più importanti – petrolio, metalli e derrate agricole – transita infatti dalla Svizzera ed è destinato a clienti esteri. Commercio che, complice l’aumento dei prezzi mondiali, si è moltiplicato per dieci fra il 2003 ed il 2011 ed è valutato attualmente a CHF 20 miliardi annui. Valore che, espresso in export di servizi, è ormai superiore a quello generato dal settore bancario e contribuisce più del 3% al PIL elvetico, superiore a quello del turismo. Si registrano 500 imprese di questo tipo concentrate a Ginevra, Zugo e Lugano che impiegano 10'000 persone.

Una storia di successo? La realtà è meno rosea perché queste attività comportano parecchi rischi: aumento dei flussi finanziari illeciti, danni ambientali e violazioni dei diritti umani. In particolare, il commercio delle materie prime può generare in certi casi flussi finanziari illeciti legati a manipolazioni o falsificazioni dei prezzi delle stesse a livello di fatturazione e/o redazione dei documenti doganali relativi alle operazioni di esportazione e importazione. Concretamente questo può verificarsi quando una multinazionale con sede in Svizzera acquista da un’impresa pubblica africana una determinata quantità di materie prime. I flussi finanziari illegali si materializzano tramite la sotto-fatturazione delle esportazioni (ciò che permette alla multinazionale di gestire all’estero la differenza di valore pagando nel contempo meno imposte) oppure una sovra-fatturazione delle importazioni (il costo maggiorato permette all’impresa pubblica di ottenere valute estere addizionali dalla Banca centrale per pagare le importazioni). Nei due casi il paese africano perde preziose divise estere il che equivale ad una fuga di capitali all’estero. Il contrario è possibile: sovra-fatturazione dell’export (il che permette di beneficiare di incentivi fiscali sull’export) oppure sotto-fatturazione delle importazioni per minimizzare l’impatto dei dazi doganali.

I flussi finanziari illeciti facilitano le evasioni e/o frodi fiscali in quanto le multinazionali con filiali all’estero hanno la possibilità di dissociare la delocalizzazione delle proprie attività produttive estrattive o commerciali dal luogo di imposizione fiscale dei profitti generati dalle stesse. Le multinazionali possono infatti sfruttare le scappatoie legali offerte dalle leggi nazionali della maggioranza dei paesi in sviluppo – leggi che, per ragioni di concorrenza internazionale, offrono spesso concessioni notevoli per attrarre gli investitori esteri – con l’obiettivo di far tassare i profitti realizzati dalle proprie attività nei paesi con l’imposizione fiscale più bassa.

Il raggiungimento di una maggiore coerenza fra la politica di aiuto allo sviluppo dei paesi poveri e la massiccia presenza sul nostro territorio di imprese multinazionali attive nell’estrazione e commercio di materie prime rappresenta una sfida per il Consiglio federale. Una sfida risolvibile con adeguamenti delle nostre leggi fiscali ma anche con standards internazionali obbligatori per la fissazione dei prezzi di riferimento delle transazioni commerciali di materie prime.

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