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Tassare l’eredità?

di Giovanni Barone Adesi

  • 20 ottobre 2014, 14:20
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Plusvalore 20.10.14

Plusvalore 20.10.2014, 14:20

Secondo Mark Twain le due sole certezze che abbiamo sul nostro futuro sono la morte e le tasse. Sembrerebbe quindi che una tassa sull’eredità sia il modo più certo per rimpinguare le casse pubbliche, tra l’altro senza alcun mugugno del contribuente.

Purtroppo una serie di difficoltà pratiche impedisce che le tasse sulla eredità funzionino correttamente nei molti paesi che le hanno introdotte. Il risultato è che in nessun paese le tasse sull’eredità costituiscono un cespite importante per le casse pubbliche.
L’esperienza internazionale suggerisce che i grandi patrimoni riescono sempre ad evitare queste tasse, attraverso opportune scelte geografiche e legali. Al più queste tasse sono un sussidio indiretto al reddito degli avvocati e dei pianificatori finanziari. Come quasi tutte le tasse, alla fine le tasse sull’eredità sono pagate solo dal ceto medio. Però, anche all’interno del ceto medio bisogna spesso prevedere misure di sollievo che discriminano a favore dei proprietari di attività economiche illiquide, come aziende agricole e piccole industrie. Questo non solo implica un trattamento disuguale per eredità di consistenza simile, ma crea un incentivo distorsivo per l’allocazione del capitale, che si allontana dalle attività che offrono le migliori prospettive di crescita.

In sintesi, tassare l’eredità fa fuggire i grandi patrimoni che hanno trovato rifugio in Svizzera e impoverisce il ceto medio-alto, che spesso supera la soglia imponibile proposta, due milioni. Infatti la ricchezza tende ad accumularsi con l’età e si stima che già oggi una famiglia su sei abbia un patrimonio superiore al milione. La soluzione corrente, tassare la ricchezza moderatamente tutti gli anni, sembra senz’altro più efficace. Tuttavia anch’essa merita qualche correttivo, specie se perdurano a lungo tassi d’interesse vicini a zero.

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