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Un mistero svizzero

di Silvano Toppi

  • 8 October 2015, 12:20
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Giovedì 08 ottobre 2015 - 12:20

Il Forum economico mondiale ci ha appena detto negli scorsi giorni che la Svizzera è il campione della competitività, ponendola per il sesto anno consecutivo sempre al primo posto di una lunga lista di 148 paesi esaminati. Si può sempre discutere sul modo d’inchiesta e sui dodici criteri adottati per giungere a questa valutazione e alla classificazione. La realtà, soprattutto nella tenuta delle esportazioni nonostante il franco forte, sembra comunque confermare. Una osservazione tra il serio e il bizzarro sorge però spontanea.

C’è sempre un singolare mistero che aleggia in Svizzera quando si parla di competitività e di produttività. Infatti, abbiamo sentito spesso ripeterci dal Consiglio federale in alcuni rapporti, da organi dell’amministrazione, da personalità preposte allo studio e all’analisi della nostra economia, dalle stesse organizzazioni economiche, lamentele alle volte allarmistiche sulla scarsa produttività del lavoro nel paese. Tre anni fa lo stesso segretario di Stato all’economia annunciava in modo perentorio che, visti gli scarsi risultati nella crescita di produttività, ”la Svizzera diventerà il paese più povero d’Europa occidentale in venticinque anni”. Persino nel rapporto del Consiglio federale sulla politica della crescita 2012-2015 ci si interroga proprio su i “misteri” della debole produttività del lavoro in Svizzera e implicitamente, sui danni che ci riserva se non si cambia registro.

Si ritiene in genere che la produttività sia il rapporto tra la quantità prodotta in una determinata unità di tempo (supponiamo tot pezzi ottenuti in un’ora) e i mezzi impiegati per produrla (tot ore di lavoro). L’Ufficio federale di statistica la calcola stabilendo il rapporto tra la maggior ricchezza prodotta in un anno nel paese (il prodotto interno lordo) e il volume di lavoro che è stato necessario per produrla (misurato in ore lavorate).

D’accordo, si dirà che competitività (se ne parla soprattutto nel confronto con l’estero, nelle esportazioni) e produttività sono nozioni un po’ diverse. Non si riesce però a capire come una economia possa essere ritenuta mediocre ( e per oltre vent’anni) per la produttività del lavoro e simultaneamente sia posta da diversi anni al primo posto mondiale per la competitività. La competitività non è fatta soprattutto di produttività del lavoro?

Dapprima nasce un sospetto, lecito perché ha buone basi per essere una realtà. Il lavoro va mantenuto sempre sotto pressione, sia come resa nel tempo sia come costo. Anche attraverso le statistiche. Serve per far prevalere le “regole” dei mercati concorrenziali e per far sì che le riforme siano sempre concepite per migliorare la produttività del lavoro piuttosto che il lavoro. Come sta capitando.

In secondo luogo, prevalendo ormai un’economia di servizi, soprattutto di servizi alla persona, la crescita della produttività ha dei limiti: in un ospedale, ad esempio, significherebbe perdita sicura della qualità delle cure. E il mistero si scioglie.

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