Plusvalore

Zero e novanta, uno e dieci o uno e venti

di Gianluca Colombo

  • 3 marzo 2015, 13:20
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Il momento della firma fra la Consigliera Federale Eveline Widmer - Schlumpf e il Ministro dell'economia italiano Pier Carlo Padoan, per accordo fiscale fra Svizzera e Italia, Milano 23 febbrio 2015

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Plusvalore 03.03.15

Plusvalore 03.03.2015, 13:20

In queste settimane sono stati illustrati e discussi vari scenari aventi per oggetto principale il cambio Franco-Euro; tali scenari sono stati utilizzati per evidenziare le conseguenze in termini di crescita economica e occupazione. Questi esercizi sono utili, anche se dimenticano che il cambio è spesso la conseguenza di differenziali di competitività e non la causa degli stessi. Se il Franco svizzero è forte, è perché la competitività della zona euro è in declino e di conseguenza l’economia svizzera presenta un differenziale di competitività positivo. Il rafforzamento del cambio aggiusta nel breve termine questi differenziali almeno per quanto riguarda i mercati internazionali. Sappiamo tutti che è impossibile evitare conseguenze sui mercati interni poiché il cambio forte riduce la competitività nel breve soprattutto delle aziende esportatrici (componente importantissima dell’economia svizzera) e da questo indebolimento parte una catena più o meno lunga di aggiustamenti che toccano i mercati interni (minore occupazione, salari più bassi, minori consumi, minore imposte, ecc.).

A queste conseguenze sgradite della forza di un’economia si può rispondere in due modi. Il primo modo consiste nell’indebolire il cambio con svalutazioni pilotate che purtroppo spesso innescano reazioni simili dei partner internazionali, con svalutazioni competitive che abbiamo vissuto nei decenni passati tra Stati europei Stati Uniti d’America, ecc. E’ una strada pericolosa che crea inflazione senza migliorare la competitività dei Paesi e senza quindi porre le basi per uno sviluppo durevole. La seconda strada è quella della crescita di competitività per la quale però è necessario l’impegno di tutti gli attori dell’economia, dalle imprese private, alle amministrazioni pubbliche, dagli azionisti, ai lavoratori e ai consumatori. Si tratta inoltre di un percorso di medio termine che non garantisce quindi risposte immediate al rafforzamento del cambio, pur assicurando un assetto dell’economia compatibile anche con una valuta forte (espressione del resto di un’economia forte). A questo punto eventuali indebolimenti pilotati del cambio aumenterebbero i margini di competitività soprattutto delle nostre imprese internazionali. Da cosa si dovrebbe quindi cominciare. Anzitutto occorrerebbe reagire con calma senza farsi prendere dal panico. In secondo luogo occorre identificare i settori dell’economia dove la competitività è inferiore e disegnare per quei settori percorsi di riforma anche radicali da dispiegare comunque nell’arco di alcuni anni. Ora se ci riferiamo al Ticino che, come Cantone di frontiera, sente più di altri l’urgenza di recuperare competitività, i settori meno competitivi sono quelli dell’amministrazione pubblica seguiti dai servizi per le persone e per le imprese (servizi dunque per il mercato interno). Che le imprese esportatrici avanzino ricette per recuperare competitività è comprensibile dato che sono quelle più esposte alla concorrenza internazionale. Tuttavia a mio avviso è molto più urgente riformare i settori dell’economia che proprio perché meno esposti alla concorrenza, sono anche i meno competitivi. Questi settori devono diventare il sostegno della società e dell’economia e non la pesante zavorra che impedisce al Paese di prosperare anche in tempi di cambio forte.

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