Arte

Engiadina

Tela prediletta da Giovanni Segantini

  • 15 January, 07:12
  • ARTE
  • CULTURA
Segantini, Trittico della Natura, La morte, 1898-99
Di: Elisabeth Sassi

L’Alta Engadina è intrisa di fascino, qualunque sia il percorso che si sceglie per raggiungerla. La si scopre piano piano dall’alto, scendendo per lo Julierpass oppure tutta d’un colpo, salendo per la Val Bregaglia, rimanendo incantati di fronte alla meraviglia che Maloja apre davanti a sé: dove cielo e vette si rispecchiano nei laghi che, uno dopo l’altro, si susseguono lungo le valli. Diversi sono i modi per raggiungere questa terra - da sempre luogo di passaggio - maliarda natura rigogliosa d’estate, orogiallolarice d’autunno, o severa e sublime Matrigna invernale. I suoi angoli, le sue vedute, tra insenature e anfratti, hanno stregato la mente e l’animo di grandi pensatori moderni come Friedrich Nietzsche, che lungo le rive grigionesi ritroverà la serenità perduta e l’ispirazione che, oltre a veder comporre la celebre opera Così parlò Zarathustra, lo porteranno a gettare le basi di alcuni temi fondamentali del suo pensiero: come la teoria dell’eterno ritorno dell’uguale, nata dall’incontro con la roccia piramidale presso il Lej da Segl (Lago di Sils). Oggi, lo sguardo che rivolgiamo a questa natura, per lo più ancora incontaminata, è nuovamente diverso: sinonimo di tempo libero e svago, forse però non così nettamente distante da quell’aspettativa che nutriva Nietzsche quando lasciò la frenetica vita accademica renana per cercare rifugio a Segl-Maria (Sils Maria).

Sils-Maria

Archivi RSI/Youtube 16.01.2020, 10:46

  • Giovanni Giacometti

Interrogando la visione di un artista vissuto sempre durante la seconda metà dell’Ottocento, scopriamo una restituzione di questo paesaggio ancora una volta differente, calata nella quotidianità di chi non è solo di passaggio, ma di chi quelle valli le chiama: chasa o chesa (casa). Così i copiosi metri di neve, sinonimo di sport e atmosfera fiabesca, appaiono nei dipinti di Segantini come un sudario che pesantemente e indistintamente avvolge tutto e tutti gli esseri viventi, costringendoli ad adattare le loro vicissitudini con il cambiare delle stagioni. Questo aspetto romantico è ben raffigurato nelle opere della maturità di Giovanni Segantini, pittore apolide, conteso tra Austria e Italia, ammaliato anch’egli dal paesaggio grigionese. Nato ad Arco, sotto l’Impero austro-ungarico, il 15 gennaio 1858. Conduce un’infanzia piuttosto misera, ma riesce a crearsi la sua fortuna: lascerà il lavoro di calzolaio per dedicarsi alla sua passione, l’arte. Frequenterà l’Accademia di Belle Arti di Brera e in poco tempo convincerà i critici e i collezionisti dell’epoca con il suo modo dipingere, fatto di brevi tratti vibranti e di accostamenti di campiture di colore in contrasto e in armonia tra loro. Il divisionismo, tecnica del tratteggio che Segantini apprende dai maestri francesi, conferisce ai suoi dipinti – da una giusta distanza – omogeneità e plasticità. I quadri si fanno così palpitanti, proiettando chi li osserva in quel luogo che sembra respirare sotto una luce, ora fievole, ora cocente. Le dimensioni dei suoi dipinti più celebri sono inusualmente grandi per la tipologia di soggetti e temi raffigurati. Segantini restituisce allo sguardo l’essenza del territorio dell’Engadina, quella che probabilmente solo chi fra quelle montagne ci è passatə conosce. Tra i temi ricorrenti troviamo il pastore e le sue bestie, la Madre, la contadina e sicuramente il ciclo delle stagioni, la vita e la morte, due aspetti inscindibili – mai temuti – bensì accolti con rispetto, anche nelle loro sfumature più dure e tragiche. Il simbolismo, i topoi allegorici che si nascondono nei luoghi fisici, non fanno altro che ricordare a chi osserva, quanto l’essere umano è piccolo e inerme, solo e in balia delle forze celesti.

Casa Segantini a Maloja

Una casa, una vita 13.08.2022, 16:30

  • RSI

Le scene della quotidianità sono prive di retorica, raffigurano semplicemente la dura esistenza dei contadini e delle contadine di montagna, restituendo loro dignità. Un albero spoglio, apparentemente morto, nasconde nelle sue fronde nodose un rimando alle sinuose forme tipiche delle radici, simbolo della vita che ha origine nella terra madre, le quali - nonostante tutto - cercano il nutrimento. La Madre, altro grande soggetto, è raffigurata ora in contrasto con la natura intransigente, poi come dolce fonte di sostentamento in completa armonia all’interno della raffigurazione pastorale. In diverse tele riconosciamo spesso una figura femminile, è quella di Barbara Uffer, detta Baba, la bambinaia della famiglia che si è prestata più volte come modella. Tra i dipinti più famosi, troviamo il trittico raffigurante il panorama engadinese, ideato in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1900. L’ambizioso progetto iniziale, pensato per un enorme padiglione circolare ideato per l’occasione, avrebbe racchiuso in sé tre dipinti panoramici della veduta che va dal Monte Bernina all’Albula. Al di sopra di ogni tela, come mostra il disegno, erano previste tre mezzelune rappresentanti l’allegoria della vita nella prima, quella della morte nella terza, mentre la mezzaluna al centro sarebbe stata dedicata a Sankt Moritz, con finalità di promozione turistica. Il progetto tuttavia non andrà in porto a causa dei costi eccessivi. Quello che però rimarrà sono i tre dipinti principali, il cosiddetto Trittico delle Alpi: La vita (1886-1899), La natura (1887-1899) e La morte (1896-1899), oggi esposti al museo a lui dedicato di Sankt Moritz, ispirato nell’architettura proprio a quel padiglione mai realizzato.

Giovanni Segantini, Trittico dell'Engadina

È esattamente lavorando en plein air al dipinto centrale del Trittico delle Alpi, La natura, che Giovanni Segantini incontra la morte a soli 41 anni. È il 28 settembre 1899, e si trova sul Munt da la Bês-cha (Monte Schafberg) a 2731 m di altitudine. Nietzsche, in una delle tante lettere alla sorella, riferendosi all’Engadina, scrive: «questo è il posto dove voglio morire». Un incanto, lo stesso che rapisce il pittore, tanto che in punto di morte chiede, ancora, delle sue montagne. Nel simbolismo della terza tela del trittico ritroviamo il concetto di morte apparente, manifestato attraverso quella nuvola gialla dipinta al crepuscolo, che allude tuttavia a un ricorrente risveglio della Natura nella sua più totale grandezza. Dall’essenza dell’Engadina - racchiusa nei dipinti - ritroviamo, forse, lo spirito del pittore fra le valli e i pendii della sua terra adottiva. Giovanni Segantini riposa accanto alla adorata moglie Luigia Bugatti, detta Bice nel cimitero di Maloja e non lontano, sulla collina, torreggia la Chiesa Bianca, dove la salma di Segantini verrà ritratta un’ultima volta dalla mano dell’amico Giovanni Giacometti. Visitando questo luogo sacro, immersa in quell’atmosfera di metamorfosi che Segantini tanto amava – a cavallo tra il giorno e la notte – in cui la luce tenue riflette le sue sfumature calde unicamente sulle cime innevate delle alpi, mi è capitato, scostando il cancello di ferro battuto, di destare uno stormo di cornacchie che si è librato in una nuvola nera, su sfondo candido, come in segno di saluto. Più avanti, sotto le fronde di un pino cembro e quasi interamente dominato dalla neve, l’epitaffio inciso sulla lapide dei due coniugi recita: «Arte ed amore vincono il tempo». Alla memoria subito mi sovvengono altri versi, «stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar», lasciandomi in silenzio ad assaporare questa terra di passaggio e di eterno ritorno.

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