Letteratura

Truman Capote

Quando il giornalismo invoca la letteratura

  • 29 ottobre 2020, 00:00
  • 31 agosto 2023, 10:57
Truman Capote
  • Keystone
Di: Marco Alloni 

Che cosa distingue il giornalismo dalla letteratura? Per dirlo in una battuta: ciò che distingue un pezzo di cronaca nera dal romanzo A sangue freddo di Truman Capote.

Con questo non vorrei insinuare che il giornalismo di cronaca – nera o fucsia che sia – non abbia pari diritto di esistenza della letteratura. Ma certo se il giornalismo aiuta a comprendere l’evenemenzialità, la letteratura aiuta a comprendere la realtà. E tra le due istanze corre la stessa distanza che separa la Madonna di un madonnaro da una Madonna di Raffaello.

Nessuno snobismo, ci mancherebbe. Anche se a suo modo Capote fu uno dei più grandi snob della letteratura americana. Ma certo su questo punto bisogna fare chiarezza: squadernare fatti non equivale in nessun modo a rappresentare la realtà. Affinché questo prodigio avvenga – e anche in letteratura è raro che avvenga – è necessario che i fatti si innestino nel loro più recondito significato. E affinché tale innesto possa risultare di qualche efficacia, è imprescindibile che la parola proceda dalla patina delle cose alla loro faglia più abissale.

Ed è precisamente questa la straordinaria operazione compiuta da Capote in A sangue freddo. Laddove i fatti parlano di un semplice, per quanto mostruoso, evento di cronaca – lo sterminio di un’intera famiglia per mano di due criminali in cerca di fortuna – il romanzo ci restituisce le loro infinite sedimentazioni psicologiche, sociologiche e morali. E laddove un giornalista parlerebbe di “pluriomicidio efferato” – con questo pensando di aver forse risolto il problema reale di quell’accadimento – Capote dedica a tale pluriomicidio uno scandaglio di oltre 400 pagine.

Viene allora da chiedersi: cosa si può mai dire, di meno ovvio di quanto appare dalla semplice evidenza degli accadimenti, per dilatare in un corposo volume il famoso interrogativo delle “Cinque W”?

Ebbene, si può dire che dietro ogni evento c’è un universo ignorato il quale si ignora anche l’essenziale di tale evento. Si può dire che senza letteratura non c’è racconto della realtà, almeno quanto senza complessità non rimane che giornalismo di cronaca. O per essere più precisi: si può dire che dietro ogni vita pulsa una galassia di vite quasi incommensurabile.

Nel suo capolavoro, Capote non tralascia se non i particolari più irrilevanti. Per il resto il meccanismo rappresentativo è di una puntigliosità, quasi di una pignoleria, indefettibili. Ogni personaggio è di fatto una persona, un essere umano con le sue infinite caratteristiche, il suo infinito bisogno di collocarsi esistenzialmente nella realtà. Non è un dato, non è un nome e un cognome, non è una macchietta equivalente a tutte le altre che potrebbero essersi trovate nella stessa tipologia di tragedia: ma un individuo a tutti gli effetti, con una galassia di aspettative, sogni, debolezze e abitudini che ne fanno l’esempio di ciò che nella realtà gli esseri umani sono: creature uniche e irripetibili.

Così la morte feroce che si abbatte sulla famiglia predestinata non è solo un accidente spietato imputabile all’imperscrutabilità del destino, non è solo una cadaverica numerologia, ma la potentissima drammaticità della vita quando incontra il proprio fato più atroce. Quindi A sangue freddo non è la rappresentazione di un evento in quanto tale ma di tutto ciò che la vita porta con sé quando un evento di tale portata si scatena. E questa è appunto la differenza sostanziale tra giornalismo e letteratura: da una parte l’evidenza delle cose, dall’altra la loro vitalità complessiva e la loro imperscrutabile complessità. Da una parte una didascalia della vita, dall’altra il suo romanzo.

Ma non solo. Il genio di Capote ha saputo anche comprendere – nei due sensi del termine – l’infinita articolazione della morale, accogliendo nel suo racconto tanto la prospettiva delle vittime quanto quella dei carnefici, rivelandoci così non solo il consolatorio piano dell’ingiustizia patita ma anche quello della crudeltà inferta.

Insomma, qui non siamo di fronte a stereotipi, siamo di fronte a essenze. E se l’essenza parla, parla per voce di tutti, compresi i criminali. Dare voce agli abissi è il compito meno giornalistico che forse da sempre la letteratura si propone.

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