Letteratura

Boccaccio alla prova dell’editing

Un racconto semiserio

  • 23 September 2019, 07:33
  • 5 September 2023, 12:56
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Di: Marco Alloni

Quando Giovanni Boccaccio, nel corso del 1300, aveva da poco terminato il Decameron gli vennero alcuni dubbi. «E se richiedesse qualche ritocco?» si chiese. «E se fosse necessaria una revisione o almeno una scrematura?». Era un periodo particolarmente delicato della sua vita: l’opera, ponderosa quanto complessa, lo aveva messo di fronte a interrogativi estremi. «E se presentasse falle di cui non mi sono accorto? E se cedesse qua e là per troppa leggerezza o troppa pesantezza?»

Una delle notti che precedettero la sua risoluzione di non pensarci più, di lasciare che la storia e il tempo facessero il loro corso, sognò qualcosa di bizzarro. Sognò che la sua esistenza, e lo stesso Decameron, fossero d’un tratto balzati fuori dal loro secolo per precipitare fino a un lontano, imperscrutabile 1999. Naturalmente lui non sapeva nulla di quei secoli così avanzati, così inaccessibili al pensiero e persino alla fantasia. Eppure nel sogno tutto si dispiegò con una niditezza quasi reale, come se l’immaginazione avesse dipinto nel sonno le perfette sembianze dell’avvenire.

Era un freddo inverno italiano, di quelli che già al tempo della grande peste funestavano le campagne e le città in tutta la Penisola. Lui era in una cittadina che non aveva mai frequentato, ma che nel sogno aveva i chiarissimi lineamenti di una comunità galleggiante. Ondeggiavano gondole da un canale all’altro e i passanti infreddoliti si aggiravano sulle cosiddette «fondamenta» o calli.

Entrò in uno stabile, dove stazionavano per gli uffici, molto moderni, con degli apparecchi che si chiamavano «computer», decine di impiegati chini sui tavoli, che si chiamavano «scrivanie», a correggere le bozze di manoscritti o dattiloscritti appena conclusi dall’autore. Un po’ intimidito, Boccaccio consegnò il Decameron. Lo trassero dalle sue dita, lo impilarono tra molti volumi simili – c’era, tra questi, persino un libro «non scritto» di un certo Fabio Volo – e gli dissero che gli avrebbero dato un responso nel corso del mese successivo.

Quando, nel sogno, tornò in quelle stesse sale, Boccaccio rimase molto sorpreso nel sentirsi dire: «Lo stile è interessante, le vicende denotano una fantasia vivace e feconda, ma se vuole pubblicare un’opera del genere dobbiamo informarla che saranno richiesti alcuni interventi sostanziosi». «Interventi sostanziosi?». «Editing» gli venne risposto. E Boccaccio fece tanto d’occhi: «Editing?». «Signor Boccaccio, lei forse è rimasto assente dalle scene per qualche tempo, ma oggi senza editing non si pubblica niente». Boccaccio, nel sogno, ebbe l’ardire di domandare: «Nemmeno il sommo Alighieri?». «Spiacenti, nemmeno».

Tempo un altro mese e, sempre nel sogno, i responsabili dell’ufficio galleggiante della città galleggiante approntarono le modifiche al suo voluminoso libro di novelle. E con un certo sbalordimento Boccaccio dovette rendersi conto che l’avevano radicalmente stravolto, nonché ridotto e semplificato. Al termine del cosiddetto «editing» una nota recitava:

Stile interessante, ma prolisso. In un certo senso, una anticipazione azzardata del barocco. Troppe concessioni all’erotismo, troppa concessione al paradosso, troppa complessità nelle raffigurazioni dei caratteri dei personaggi, troppo senso caricaturale. Ma soprattutto una costruzione a quadri o cornici che mal si attaglia con il senso di un romanzo di intrattenimento. Uno sfoltimento di circa 200 pagine è la soluzione proposta.

Boccaccio trasalì a tal punto, nel sogno, che si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore. Convenne con se stesso, dopo essersi ripreso spruzzandosi un po’ d’acqua sulla faccia, che nascere nel 1999 non sarebbe stata una buona prospettiva. Nemmeno onirica. E quando si recò al suo scrittoio – come lo chiamavano, scrivania? – si sentì sollevato che quello, come accade talvolta ai grandi spiriti, fosse solo un brutto sogno.

Infuriava la peste, le città erano devastate, la sua comicità era una risorsa insufficiente a lenire i mali di quel tempo funestato dalle carestie. Ma lui aveva la coscienza in pace e riprese a scrivere i suoi racconti. Ottocento anni prima della fine del buon senso, poteva considerarsi un uomo felice e uno scrittore sinceramente apprezzabile.

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