Letteratura

L’arte della stroncatura

Quando la critica promuove se stessa

  • 23 febbraio 2020, 00:00
  • 14 settembre 2023, 09:26
foto copertina STRONCATURE.jpg
Di: Marco Alloni

Con tutta la pessima letteratura che viene prodotta da qualche anno a questa parte, viene da chiedersi che senso abbia ancora l’esercizio della stroncatura. Viene anzi da affermare: «Non sarebbe ora di individuare quel poco di buono che viene prodotto, invece di accanirsi sull’immensa galassia della mediocrità?»

Eppure il gusto per la stroncatura imperversa, molta stampa e molti media ospitano i paladini della demolizione e il peggio delle lettere universali torna ogni giorno a mostrarsi ai nostri occhi. Come se lo sconforto dei novelli critici della dissacrazione di fronte al declino della letteratura trovasse sollievo nello stigmatizzarne i protagonisti, mettendoli uno in fila all’altro alla gogna. Come se parlare «male» di molti autori contemporanei facesse in qualche modo del «bene» alle nostre coscienze di lettori.

Ma è davvero così? O per meglio dire, siamo sicuri che sia ancora così, siamo sicuri che questa che fu la nobile pratica di chi nel Novecento operava per levare dalla produzione dei grandi la gramigna dei modesti – favorendo così maggiore contezza di che cosa vada inteso per letteratura – abbia ancora gli stessi orizzonti di senso?

Francamente ho i miei dubbi. Non foss’altro perché gli stessi «censori» che oggi si ergono a stroncatori sono spesso talmente mediocri che non valgono le povere vittime contro cui si accaniscono. E non solo: sono spesso talmente privi di consapevolezza critica che poco altro riescono a mettere in rilievo se non il peggio, quasi mai rilevando o sapendo rilevare dove si annidi viceversa il meglio.

In altre parole: a differenza degli anni d’oro in cui Pasolini «stroncava» Borges e Guglielmi «stroncava» Pasolini, o in cui De Benedetti ci insegnava il valore dei grandi, oggi l’impressione è che anche la critica sia asservita al peggio, funzionale al mercato non molto diversamente delle brutture letterarie che massacra.

O cosa pensare quando Michela Murgia – autrice a mio parere modesta – si assume l’incombenza di stroncare Fabio Volo o Andrea Scanzi? A che pro, se non della sua personale e trascurabile autopromozione? A chi interessa se autori di quarta fascia come Volo o Scanzi piacciono o non piacciono alla Murgia? Certo non a chi – e sono ormai una riserva indiana – vorrebbe piuttosto conoscere il meglio e capire dove si nasconde il meglio: cioè riscoprire quello che la spazzatura editoriale ha sommerso sotto quintali di letteratura inutile in nome della vendita, dell’intrattenimento e del chiacchiericcio.

Pure la Murgia viene ospitata da Corrado Augias – a sua volta insussistente come scrittore ma potente araldo della cosiddetta «critica culturale» – come se figure di scarsa rilevanza letteraria si spalleggiassero tra loro per mettere alla berlina chi è persino – sul piano strettamente autorale – peggio di loro. Insomma, una corsa a favorire la conoscenza della mediocrità i cui maggiori promotori sono a loro volta, al netto delle loro «opere», somme espressioni della stessa.

Così ecco che la stroncatura – una cui rara eccezione degna di nota si ritrova nel libro Stroncature di Davide Brullo e nelle sue ottime recensioni su Pangea – diventa paradossalmente un cortocircuito che invece di promuovere un’idea di letteratura alta foraggia il cicaleggio intorno alla letteratura bassa. Al punto che di stroncatura in stroncatura, di promozione del peggio in promozione del peggio, l’impressione che viene prodotta sui lettori è che sulla Terra non vi sia ormai nulla da salvare.

Il che non è vero, poiché da salvare i critici – se fossero responsabili e non narcisisti – ne avrebbero eccome. Ma ecco, in termini pubblicitari stroncare Volo o Andrea paga di più – ripeto, paga di più – che compiere quel che Pavese o Vittorini o Bo o la Pivano o lo stesso Feltrinelli riuscirono a fare con la letteratura americana, francese o russa, letteralmente scoprendole.

Siamo quindi sempre alle solite. Ormai non conta sentirsi mediocri rispetto ai grandi ma grandi rispetto ai mediocri. Ed è così ci si avvicina sempre di più al baratro.

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