Musica

Claudio Lolli

Quando l’emozione è conoscenza

  • 27 March, 23:01
  • MUSICA
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Claudio Lolli
Di: Mattia Mantovani

A volte ci sono coincidenze che forse non sono soltanto coincidenze, perché forniscono lo spunto per riflettere sulla nostra attuale condizione, sull’opacità del presente, sulle nostre incertezze e sul nostro disorientamento. In un passo del suo indimenticabile “Viaggio in Italia”, ragionando sulle residue possibilità di un’autentica conoscenza del mondo nell’epoca di un tecnicismo sempre più astratto e disumano, il compianto Guido Ceronetti giunse alla conclusione che ormai l’unica conoscenza possibile è quella che nasce dalla pietas e insieme produce pietas. L’unico plausibile approccio alla realtà non può insomma che essere “emotivo” nel significato più ampio del termine, intendendo quindi anche la rabbia, il disgusto e infine il silenzio -come ribadiva Ceronetti chiudendo le proprie riflessioni: «il disprezzo muto, come estrema risposta». Si tratta di un’utopia, obietteranno forse gli spiriti positivi. Eppure l’utopia, anche contro ogni evidenza, rimane la condizione imprescindibile per una vita di progetto e speranza, che in ultima analisi è l’unica vita degna di essere vissuta.

Utopia, progetto, speranza: sono parole che sembrano scomparse dal tristo vocabolario dei nuovi alieni. Nell’agosto del 2018, circa un mese prima di Guido Ceronetti, la canzone d’autore italiana ha perduto Claudio Lolli (nato il 28 marzo 1950), uno dei suoi rappresentanti più integri, coerenti e poeticamente consapevoli. Una coincidenza? Sicuramente. Ma altrettanto sicuramente una perdita grave, dolorosa, che due anni dopo, esattamente come quella di Ceronetti, appare sempre più difficile da metabolizzare.

Claudio Lolli ha segnato a fondo soprattutto la prima metà degli anni Settanta, dal disco d’esordio “Aspettando Godot”, passando per “Un uomo in crisi” e “Canzoni di rabbia”, fino alla suite “Ho visto anche degli zingari felici”, del 1976, che per opinione condivisa rimane non solo uno dei migliori dischi della storia della musica italiana, ma anche un prezioso documento storico, perché le sue otto tracce restituiscono una nitidissima fotografia di quegli anni di speranza progetto e utopia. Lo ha spiegato lo stesso Lolli nella lunga nota contenuta nel libretto accluso alla ristampa del disco in versione CD nel 2006, in occasione dei trent’anni dalla pubblicazione, fissando un principio poetologico e conoscitivo poi sviluppato e ribadito in numerose interviste degli ultimi anni di vita: «L’intelligenza logica che si salda a quella emotiva: solo così si capisce il mondo, si impara ad amarlo, a non dimenticarlo mai e a capire anche che se ne può fare a meno per un mondo futuro, migliore e possibile».

Questa idea della conoscenza, improntata a una sintesi -ardua ma irrinunciabile- di intelligenza logica ed emotiva, ha permesso a Lolli di cogliere immediatamente i limiti e il conseguente fallimento dell’utopia (o meglio, di quell’utopia). Un anno dopo “Ho visto anche degli zingari felici”, nel 1977, mentre per le strade della sua Bologna i carri armati di una nazione democratica soffocavano nel sangue la contestazione studentesca, uscì infatti “Disoccupate le strade dai sogni”, un disco che raccontava quasi in presa diretta l’altra faccia della realtà, la fine delle speranze e l’inizio del cosiddetto “riflusso”. Archiviato il tempo delle utopie, è iniziata l’epoca dell’«analfabetizzazione», dove «un cristo uscito dal Circo Togni comincia un comizio dicendo “Disoccupate le strade dai sogni”», perché i sogni «sono ingombranti, inutili e vivi» e «non ci sarà posto per la fantasia / nel paradiso pulito operoso della nostra nuova socialdemocrazia» (che oggi definiremmo forse “pensiero unico”).

Nella «nuova socialdemocrazia» delle anime sazie di niente, il potere assume nuove sembianze, diventa irreale, astratto, pervasivo e coincide con la comoda e anodina piattezza dello status quo, che lo stesso Lolli, in un brano dei tardi anni Ottanta intitolato “Adriatico” (ispiratogli dai week-end dell’adolescenza trascorsi a Rimini), paragona in maniera molto suggestiva alla distesa del mare: «Guardalo l’Adriatico / come si muove piano / questo mare un po’ antipatico e triste / che non promette viaggi / che non ha più sorprese / ma soltanto coste e isole già viste. / Forse è saggio sapersi arrendere / forse è saggio restare fermi ad osservare / un abisso mediocre, guardarsi galleggiare».

“Disoccupate le strade dai sogni” fu un consapevole suicidio dal punto di vista commerciale. Dopo altri due dischi poco fortunati per l’odiata multinazionale EMI, “Extranei” e “Antipatici Antipodi”, Lolli scivola pian piano nell’anonimato. Si guadagna da vivere insegnando italiano e latino in un liceo nei pressi di Bologna, scrive romanzi e racconti e continua a pubblicare dischi per piccole etichette, riarrangiando per lo più i brani degli anni Settanta e proponendo di tanto in tanto qualche inedito. Ma per i cosiddetti “lolliani” il suo ricordo e la sua presenza rimangono un punto di riferimento, una piccola ma importantissima luce nella tenebra del riflusso.

Tutto cambia, ma tutto rimane uguale, le utopie muoiono eppure rimangono vive, sotto altre forme. Nel 2017, già minato dalla malattia che di lì a un anno lo avrebbe condotto alla morte, Lolli ha riunito i musicisti che avevano suonato a suo tempo in “Ho visto anche degli zingari felici” e ha pubblicato un’opera di penetrante e quasi insidiosa bellezza. Il disco, che riprende la suggestione contenuta nell’omonimo film di Lawrence Kasdan del 1983, si intitola “Il grande freddo”, contiene nove brani inediti e fotografa con la medesima lucidità di un tempo, ma da una nuova prospettiva, la fine dell’utopia, del sogno, del progetto. Circondati dal “grande freddo”, sempre più soffocati dal riflusso, rimane soltanto una cosa prima del «disprezzo muto»: dire almeno «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», afferma Lolli nella terza traccia, “Non chiedere”, riprendendo i celebri versi di “Non chiederci la parola” di Eugenio Montale. Forse è la sua più autentica eredità, forse è l’ennesima utopia, senza dubbio è un’estrema e residua forma di conoscenza del mondo.

I dimenticati della canzone

Voi che sapete... 17.05.2019, 14:00

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