Società

Gli italiani e la morale perduta

Giacomo Leopardi alla ricerca del popolo che non c’è

  • 19 August 2022, 22:00
  • 14 September 2023, 07:19
  • SOCIETÀ
Leopardi, Giacomo

A. Ferrazzi, Giacomo Leopardi, 1820, olio su tela, Recanati, Casa Leopardi

Di: Marco Alloni

Gli italiani che Giacomo Leopardi mette a nudo nel suo Dei costumi degli italiani fanno fondamentalmente riferimento ad un popolo deprivato di due strutture essenziali: la morale e la società. La morale è stata distrutta a suo dire dal “progresso” e dalla “diffusione dei lumi”, che nel ricondurre e ridurre il discorso sull’uomo alla semplice datità hanno di fatto smesso di interrogarlo e capirlo nella sua essenza più intima. La società si è invece dissolta in una ridda di personalismi che hanno lasciato il campo a un modus vivendi senza “onore” dove non esiste più nemmeno il minimo sindacale della decenza collettiva: temere l’opinione pubblica e la sua riprovazione.

Viene così ad affermarsi, nella lettura di Leopardi, quella propensione al “cinismo” che, filosoficamente parlando, coincide con una disposizione al qualunquismo e all’indifferenza di cui è appunto portatrice una società senza più mastice.

Disancorati da morale e società – o per meglio dire da valori morali regolatori e da una idea di società sorvegliata – gli italiani sono dunque essenzialmente, per Leopardi, dei gaudenti, la cui frivolezza non è soltanto sinonimo di superficialità, inclinazione allo scherzo o al gioco, bensì recondita e prepotente inclinazione al nichilismo e al disfattismo. Propensi a una filosofia dell’insensatezza, sposano con disinvoltura il solo interesse personale dimenticando che quello “pubblico” o “collettivo”, almeno prima del secolo dei lumi, costituiva un patrimonio di ben diversa fattura.

In un certo senso, in questa denuncia del “progresso” e dei “lumi” come di istanze che preludono all’accantonamento della politica dapprima e della morale di conseguenza, Leopardi si fa così anticipatore dell’attuale discorso anticapitalistico e antiborghese, laddove stigmatizza nell’interesse personale e nell’etica della concorrenza le cifre costitutive di un mondo eminentemente “mercantile” e “antimorale”, per non dire immorale.

Come sottolinea acutamente Luca Doninelli in una nota introduttiva al libro, questo trapasso da una società morale a una società dell’interesse privato ha fatto sì che “la parola popolo risulti espunta dal vocabolario politico: si parla di ‘cittadini’, di ‘società civile’, ma non di popolo”. E aggiunge: “I lumi hanno distrutto il popolo”. A dimostrazione che gli italiani, per come li vede Leopardi e per come in gran parte, anche se a periodi alterni, sono stati dall’Ottocento in poi, sono largamente definibili come un popolo senza più popolo. Ovvero come un popolo orfano di princìpi essenziali.

Naturalmente in questa lettura leopardiana l’idea di disgregazione e disancoramento è osservata in tutta la sua negatività: gli italiani, affrancandosi dai vincoli di una società intesa come popolo, non hanno conosciuto un processo “liberatorio” e di “emancipazione”, bensì un processo di “imbarbarimento” la cui apoteosi è oggi probabilmente nel degrado stesso di una politica priva di ancoramento popolare e da decenni ormai in balìa di una logica castale quasi ai limiti dell’anarchia.

Cosa dunque distingue e limita il “caso italiano” rispetto a quello di altri paesi europei? In una terminologia contemporanea, potremmo dire che il vulus maggiore che l’Italia ha dovuto patire nel corso della sua evoluzione storica è quello dell’assenza di una classe dirigente, ovvero di una élite, in grado di orientarne lo sviluppo non solo politico ed economico ma prima di tutto morale.

Appunto in questo cortocircuito si dibatte quindi il destino degli italiani da almeno due secoli a questa parte: ambire “filosoficamente” all’individualismo e alle suggestioni dell’indifferenza assoluta al destino collettivo e invocare che qualcuno, una classe dirigente degna di questo nome, lo sollevi da tale vocazione al disastro e alla barbarie. Si tratta di un tema che da Leopardi in avanti non ha cessato di tenere banco segnando di luci e ombre il destino degli italiani, i quali tanto più ammiccano al proprio istinto di gaudenti e “qualunquisti” quanto più invocano poi “uomini forti” per correggerlo e arginarne le conseguenze, affidando così a una “classe dirigente” di volta in volta astratta o affrancata dal proprio spirito morale il compito di salvarli da se stessi.

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