Le bollicine della discordia - Ticino, c'è posto anche per il bio?

di Renato Pugina

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Le bollicine della discordia

Il prosecco ha superato lo champagne: 500 milioni di bottiglie contro 300. Il sorpasso è ancora più clamoroso perché, su una superficie coltivata più piccola, le aziende delle bollicine italiane sono tre volte tante rispetto alla blasonata regione francese. Un successo produttivo e soprattutto commerciale che ha del miracoloso, maturato nell'arco dell'ultimo ventennio. Questo boom ha anche una faccia meno brillante: ogni metro quadrato di territorio tra Conegliano Veneto e Valdobbiadene è stato convertito in vigneto, spesso radendo al suolo zone boschive preziose per la biodiversità. Il risultato è che ora le zone abitate sono vicinissime ai vigneti e ai loro pesticidi. Associazioni ambientaliste e comitati cittadini denunciano una situazione, a loro dire, insostenibile. I produttori vinicoli, i politici, le autorità sanitarie, rispondono: sia monitorando la situazione che proponendo coltivazioni più rispettose dell'ambiente. La situazione sociale tuttavia resta tesa.

 

Ticino, c’è posto anche per il bio?

Tra i consumatori di vino la sensibilità ecologica cresce e le etichette “bio” aumentano e se ne discute anche in Ticino. Anche da noi si sente l'esigenza di produrre vino con meno impatto ambientale: coltivare, proteggere, e nutrire le piante, con prodotti che non inquinino il territorio. Senza dimenticare la questione dei residui che rimangono nel bicchiere. Nonostante ciò la produzione di vino rigorosamente biologico stenta a decollare. La ragione principale, secondo la maggior parte dei produttori, è che il clima umido rende le cose difficili, specie se si vuole stare sul classico Merlot. Qualcuno ci prova, aprendo il dibattito nel settore: da una parte i rischi dei prodotti fitosanitari, dall’altra quelli del verderame (senza dimenticare ovviamente quelli economici).

 

Ospite in studio:                   Francesco Tettamanti, enologo

 

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