La multinazionale delle vittime

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Quella di Stephan Schmidheiny, esponente di una delle dinastie industriali più facoltose della Svizzera, è una storia che potrebbe essere narrata come una soap americana - piena di glamour, di ricchezza, di yacht e di cavalli. Se non fosse per l’immane tragedia con cui è intrecciata: quella dell’amianto, la fibra minerale cui la famiglia deve parte delle sue fortune. Essa provoca un tumore incurabile che si manifesta anche trent’anni dopo l’esposizione. Stephan Schmidheiny ereditò dal padre gli stabilimenti Eternit, in cui si producevano tubi e lastre di cemento e - appunto - amianto. A Torino è in corso un processo in cui l’accusa ha chiesto, per il miliardario svizzero e per un altro ex dirigente degli stabilimenti Eternit italiani, vent’anni di carcere. Questo, per "omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro, ma soprattutto per "disastro ambientale doloso". "Abbiamo accertato - ha detto il pubblico ministero di Torino, Raffaele Guariniello - che gli imputati non si sono limitati ad accettare il rischio che il disastro si verificasse e continuasse a verificarsi, ma lo hanno accettato e continuano ad accettarlo ancora oggi." Quando le fabbriche chiusero, infatti, l’amianto non venne rimosso, provocando un inquinamento di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. E così, a Casale Monferrato, 37mila abitanti, ogni settimana per un abitante (non necessariamente un ex lavoratore Eternit!) arriva la sentenza di morte: mesotelioma. Il processo di Torino non è ancora concluso, ma Falò propone una ricostruzione che fa il punto sulla vicenda Eternit, un caso che fa discutere nel mondo intero.