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Il complesso dell'Orso

BerlinalBlog 1: Quando Berlino è la Grecia della Germania. Di Lorenzo Buccella

  • 5 febbraio 2015, 20:50
  • 4 settembre 2023, 16:22
Marlene Dietrich Platz e, sullo sfondo, il Berlinale Palast

Marlene Dietrich Platz e, sullo sfondo, il Berlinale Palast

  • Lorenzo Buccella/RSI

La partenza è freudiana. Scena innevata, Juliette Binoche sdraiata di pancia, fucile in mano, uno sparo e bang, uccide un orso. Sì, proprio l’animale simbolo della Berlinale che qui ritrovi spiaccicato sui poster d’ogni muro della città, ma che per un gioco di paradossi, nella Groenlandia surgelata del film d’inaugurazione della 65esima edizione (lo scialbo Nobody Wants the Night di Isabelle Coixet) è nemico. Nemico almeno quanto il freddo che tiene sempre a bagnomaria ogni ritorno a Berlino.

Ich hab' noch einen Koffer in Berlin. Così cantava Marlene Dietrich, con una valigia tenuta sempre lì, per poter rientrare a Berlino. E non a caso, per chi frequenta la Berlinale, il primo punto di ritrovo è proprio in Marlene Dietrich Platz. Là dove parte quel grande fazzoletto postmoderno di grattacieli e costruzioni contempranee che ormai è diventato Potsdamer.


Qui, dal 2000, il Festival ha messo schermi e tendaggi. E per anni qui è stato tutto un dai e vai di gru e cantieri a ogni angolo del panorama. Quando, per dire, venne ultimato quel mastodontico ragno architettonico che è il Sony Center di Renzo Piano, sembrava qualcosa del futuro atterrato proprio là dove un tempo c’era la zona vuota del muro.

Il profilo di Leipziger Strasse con il nuovo “Mall of Berlin”

Il profilo di Leipziger Strasse con il nuovo “Mall of Berlin”

  • Lorenzo Buccella/RSI

Ora tutto è diventato pieno e normale quotidianità. Del resto, la fortuna di bazzicare da anni alla Berlinale è anche questa: aver visto venir su pezzi di città anno dopo anno. E l’ultimo tassello, col nastro tagliato solo 4 mesi fa, è il completamento dell’unico buco mancante lungo la Leipziger Strasse, l’arteria di palazzi moderni che taglia una fetta importante di Berlino e s’immette per via diretta in Potsdamer Platz.


Si chiama “Mall of Berlin” ed è un centro commerciale, labirintico ed elegante, arrotolato su tre piani e disteso su più blocchi per un totale di 76.000 metri quadrati. Un abracadabra che fa il paio con un altro tempio dello shopping, il “vecchio” Arkaden (è del 1998), meta ormai consolidata dei festivalieri, dove fin dal mattino trovi code davanti alla biglietteria della Berlinale da far invida alla metropolitana di Tokyo all’ora di punta.

Le file per l’acquisto di biglietti alla Berlinale

Le file per l’acquisto di biglietti alla Berlinale

  • Lorenzo Buccella/RSI

Se poi cerchi la conferma di quanto il festival a Berlino sia popolare e si sparpagli nella città, con le proiezioni a smistarsi nei vari quartieri, questa è la prova maestra. C’è gente bivaccata col sacco a pelo, altri con il seggiolino pieghevole portato da casa, un mescolio di persone giovani e altre molto più anziane. E se tu ripercorri la fila in senso contrario e chiedi da dove vengono queste persone, be’, al di là di un gruppo di studenti di Amburgo, le risposte sono una filastrocca di “Berlin”, “Berlin”, “Berlin”.


Conferma un po’ scontata che però sorprende, per esempio, quando Michael, 32 anni, il giaccone da studente fuori-corso, ti racconta la sua condizione. È professore ma in questo momento disoccupato. “Guarda che la disoccupazione a Berlino è un problema cronico, c’è sempre stato” ti dice e poi snocciola dati: a livello nazionale la media è più o meno del 6 e mezzo percento, qui invece arriva al 15. “Per questo altri Länder sono arrabbiati con noi, perché per una logica federale ci devono aiutare. In fondo, noi siamo la Grecia della Germania o così almeno veniamo definiti”. Che in fondo è una posizione un po’ freudiana non tanto lontana da quella degli orsi passati oggi alla Berlinale.

L’entrata del “Mall of Berlin”

L’entrata del “Mall of Berlin”

  • Lorenzo Buccella/RSI

Lorenzo Buccella

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