Dossier

Il duello edilizio

BerlinalBlog 5: quando la storia si scrive sui muri

  • 9 febbraio 2015, 21:40
  • 4 settembre 2023, 16:22
Il brandello di Muro in Potsdamer Platz

Il brandello di Muro in Potsdamer Platz

  • RSI/lb

Basta andare ai piedi dei due grattacieli di Potsdamer Platz e subito ti entrano nella vista gli ultimi veri brandelli di muro, tenuti lì, come denti simbolici piantati nel terreno. Con i loro disegni a spray colorati fatti di cuori giganti e teste incoronate. “Sì, lo so, questo mio graffito è su ogni libro di storia e non mi irrita se tutti continuano a chiamarmi l’artista del muro di Berlino. Questa è anche la mia storia ed è una bella storia”. Per Kiddy Citny, tornare lì, non è mai un dispiacere, nemmeno quando gli chiediamo per l’ennesima volta di mettersi in posa per una foto. Il dispiacere al massimo è per il cambio di orizzonte che da lì si apre sulla città. “La festa per il trentennale dalla caduta del muro, nello scorso novembre, per tanti versi ha certificato quanto sia cambiata Berlino: io avevo proposto di portare qui artisti provenienti da tutte le parti del mondo dove esistono ancora muri, loro hanno preferito la via più soft, con tutti quei palloncini liberati in aria stile Kindergarten lungo il tragitto della divisione”.

Dialoghi mai pacificati tra presente e passato che non passa un giorno e alla Berlinale trovano nuove micce d’innesco. Mentre in concorso viene mostrato il film di Andreas Dresen “Als wir träumten” che va a scartavetrare il destino della generazione off di Lipsia cresciuta a cavallo del 1989, tutte le attenzioni sono già dirottate per l’arrivo del principe di casa, Wim Wenders. Orso alla Carriera di quest’anno, autore di quel Cielo sopra Berlino in cui lo stesso Kiddy Citny ha partecipato nelle vesti di se stesso. “Un giorno, nel 1987, Wim mi chiama per chiedermi se può usare per un suo film un brano del mio gruppo, Sprung aus den Wolken. Poi, quando ci vediamo, mi mostra la sceneggiatura e mi dice anche, guarda, ci sarebbe pure questa scena sui graffiti”. E così, ecco rifatto in finzione quello che Kiddy aveva già fatto nella realtà: muoversi di notte, con scale e grandi secchi di vernice, scivolare lungo la facciata Ovest, in quel francobollo di terra ancora sotto dominio Ddr. “E lì, ogni volta, scattava una sorta di gioco del gatto e del topo con gli agenti della Volkspolizei. Quelli salivano in fretta e furia i loro gradini di controllo con i kalashnikov al collo e ci gridavano di andare via; noi facevamo qualche passo indietro e iniziavamo a sbeffeggiarli. Era a tutti gli effetti un duello”. Un duello per trasformare qualcosa di “terribilmente brutto” in una lavagna a cui solo il tempo ha aggiunto un lato romantico, assieme a tutta quell’effervescenza post-caduta che la Berlino di oggi sembra aver smarrito. “Da qualche anno a questa parte, è finita l’epoca d’oro berlinese. Con gli affitti schizzati alle stelle e una speculazione edilizia puntata tutta solo su business e glamour, gli artisti hanno chiuso i loro studi e si stanno spostano fuori. Un po’ come è successo a New York negli anni Novanta”.

Lo stesso mood generale che solo qualche mese fa ha portato un altro street artist come l’italiano Blu a compiere un’azione altamente simbolica su un paio di casermoni di Curvystrasse, vicino al fiume Sprea. Là dove sorgevano due suoi murales, raffiguranti un paio di enormi maschere a gas, ora è c’è solo una colata di vernice nera che ha cancellato tutto. “Hanno ragione quelli che l’hanno definito il primo caso di eutanasia artistica” ci dice Pierre, un 35enne alternativo, originario di Lione, che da anni vive in quel quartiere e conosce bene l’arcipelago di graffiti che lo anima. “Visto che tutta quest’area sarebbe stata abbattuta per creare il solito nuovo complesso architettonico, Blu è stato un grande e si è detto: se proprio i miei lavori devono morire, è meglio che li uccida io”. Una protesta elegante ed efficace che a Berlino ha creato subito un cortocircuito mediale.

“All’inizio, prima che si scoprisse che era stato lo stesso Blu, in tanti abbiamo pensato fosse l’ennesimo attacco contro quegli spazi urbani carichi di cultura underground che piano piano stanno riconvertendo in bomboniere senza storia né fascino”. Del resto, basta sfogliare le pagine dei giornali locali, per capire che tra caro-affitti, subaffitti in nero e penuria d’alloggi a buon mercato, la questione immobiliare è diventata l’ombelico infiammato di tante dicussioni. E a volte, come nel quartiere popolare di Neukölln, in ballo non c’è la difesa di graffiti, ma quella di immensi spazi verdi destinati al sacrificio per lasciare il campo a nuovi alveari di appartamenti.

“Fosse solo questo” ci dice un uomo con cui chiacchieriamo prima di prendere la U-Bahn” ormai costruiscono anche sugli ex-cimiteri, perché la Chiesa ha bisogno di soldi e la città ha bisogno di nuove superfici. Ne hanno parlato tutti i giornali”. E proprio facendo una ricerca su alcune testate on-line, non troviamo solo conferma, ma rintracciamo anche dati espliciti. Altri nuovi 85000 metri quadrati di terreni di sepoltura sconsacrati nel prossimo futuro diventeranno spazi d’abitazione e parcheggi. Un “mors tua, vita mea” che pare andare oltre il muro di ogni scaramanzia.

Lorenzo Buccella

Correlati

Ti potrebbe interessare