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Il fascino pericoloso dell'IS

Intervista a Laura Passoni, 33enne belga che due anni fa partì in Siria per raggiungere l'organizzazione estremista

  • 11 November 2016, 18:23
  • 7 June 2023, 23:07
Nove mesi sprofondata nell'estremismo

Nove mesi sprofondata nell'estremismo

  • reuters/Twitter

Come mettere al riparo i giovani dalla seduzione mortale del fanatismo fondamentalista? La domanda chiave a cui trovare una risposta per evitare il ripetersi nuovi attentati come quelli di un anno fa a Parigi o del 22 marzo a Bruxelles.

Laura Passoni è una 33enne belga di origini italiane, convertitasi all’Islam quando aveva 16 anni. Due anni fa è partita con suo figlio per l'autoproclamato Stato islamico, dove è rimasta nove mesi. Delusa da una realtà ben lontana dal sogno che le avevano venduto, è riuscita a ritornare in Belgio, dove lo scorso marzo è stata condannata a cinque anni di carcere per partecipazione a gruppo terroristico. In libertà vigilata, racconta la sua esperienza nelle scuole ed ha appena pubblicato un memoriale, per ora disponibile solo in francese.

L'intervista di Tomas Miglierina

Sono partita nel giugno del 2014, prima degli sgozzamenti di occidentali. Certo, sapevamo cosa era l'autoproclamato Stato Islamico (IS), ma il reclutatore – che ho incontrato personalmente a Bruxelles – me ne ha parlato facendomi credere che gli uomini che erano partiti erano degli eroi, che andavano a salvare il popolo siriano e anche noi come donne dovevamo andare per fare la stessa cosa… essere infermiere o lavorare con gli orfani. Avevano bisogno di noi, saremmo state utili.

Io avevo avuto una delusione d’amore: il padre di mio figlio, con cui stavo da dieci anni, ci aveva lasciati per un'altra. Ero molto debole e depressa e mi sono fatta completamente manipolare dal reclutatore. Ne avevo una fiducia totale, come se fosse mio fratello. Mi diceva di allontanarmi dalla famiglia e dagli amici, che comunque non mi avrebbero compreso. Ero davvero sola, sola con lui, che giocava con i miei errori e le mie debolezze.

Ma scusi, lei avrà ignorato gli scannamenti, ma sapeva bene che quella dell’IS era una forma estrema di Islam. Che cosa c’è di attraente nell’essere confinata in casa e doversi coprire di nero dalla testa ai piedi?

Mi avevano fatto vedere delle foto in cui le donne uscivano, andavano al mercato, facevano la spesa. Solo in Siria ho scoperto che non potevamo uscire dalle case. Quanto ai vestiti, lo sapevo. A causa della mia delusione amorosa, pensavo: se tutte le donne sono coperte, gli uomini non avranno voglia di tradirle, di andare con un’altra. Mio marito mi sarà fedele e rispettoso. Era questo che mi piaceva: l’idea che l’uomo è fedele alla donna e la donna si nasconde a tutti, tranne che al suo uomo. Per me era una forma di rispetto.

La sua storia è comune ad altre? Come erano le altre donne?

Ce ne erano di diversi tipi. Ce ne erano con delusioni sentimentali come la mia. Altre erano partite per seguire il marito e se questo moriva volevano subito ripartire. E poi c’erano le odiatrici, come le chiamo nel mio libro, donne molto violente che volevano uccidere tutti e fare attentati.

Il giorno in cui lei decide definitivamente che deve andarsene è quando suo figlio torna a casa con un animaletto di peluche sul quale gli stavano spiegando come si sgozzano i cattivi infedeli.

Per fortuna mio figlio aveva solo quattro anni allora. Solo a otto anni li fanno cominciare con le armi. A quattro anni vogliono fargli capire che ci sono credenti e miscredenti, che lo stato islamico e buono e bisogna essere come lui. Io ho visto dei bambini di otto anni nei campi, che sparavano, che vedevano delle azioni. E dodicenni che hanno fatto attentati suicidi.

Con chi ce l’ha oggi?

Ce l’ho con me. Avrei dovuto informarmi di più, non avere un atteggiamento così naif, non portare mio figlio in Siria. E poi ce l’ho con il reclutatore che mi ha venduto un sogno.

Per questo lei va a parlare nelle scuole?

Perché altri non facciano il mio errore. Mi sono rovinata la vita. Sono in libertà vigilata per i prossimi cinque anni. Avevo un lavoro, ora sarà dura ritrovarne uno. La propaganda dell'IS è falsa e menzognera. Non è islam. Non bisogna partire né fare attentati. Non avrai il paradiso con questo.

L'autoproclamato Stato islamico si sta dissolvendo, la gente che era partita ritorna. Cosa bisogna fare con loro?

Dipende dalle persone, vanno sorvegliati perché non si sa con che idee tornano. Ci sono quelli che vogliono comunque fare attentati. Altri che vogliono rifarsi una vita, ma nessuno sa cosa hanno in testa. Bisogna sorvegliarli, purtroppo in prigione.

Cosa dovremmo imparare dalla sua storia?

Io, la mia storia, consigli… non lo so, non credo che posso cambiare il mondo.

Per esempio, mi sembra che i social media abbiano giocato un ruolo chiave…

E’ vero, è sui social che ho conosciuto il mio reclutatore. Forse i genitori dovrebbero fare più attenzione ai loro figli, a cosa fanno sui social, con chi parlano.

Ma perché buttarsi nei social e non negli amici in carne ed ossa? Abbiamo tutti avuto delle delusioni d’amore, ma non siamo partiti per la Siria.

Io non avevo più amici. Quando stavo con il mio ex, era molto geloso, possessivo, già per lui avevo lasciato perdere gli amici. Ai genitori ero vicina, ma il reclutatore mi ha detto che dovevo rinnegarli, che comunque non mi avrebbero capito, e io lo ascoltavo, non avevo che lui come amico.

Son bravi, questi reclutatori…

E’ il loro ruolo. Loro stanno qui al caldo e fanno partire gli altri.

Ma se sono cosi efficaci forse c’è qualcosa che manca, forse fanno un lavoro che dovrebbe essere fatto da altri…

Sono efficaci perché prendono le persone indebolite. Se uno è a posto non lo destabilizzano. Prendono quelli che hanno un problema nella vita.

E ci deve essere tanta gente che ha problemi nella vita, visto i risultati…

C’erano migliaia e migliaia di persone. Dalla Russia, dalla Cina. Dei convertiti, degli arabi, degli italiani. Bisogna anche capire che i loro video sono forti: quando ti mostrano la solidarietà, le donne che possono essere utili, gli uomini che possono essere utili. Ci sono giovani qui che non trovano il loro posto, si dicono: “forse dovrei partire, trovarmi un posto lì, mi daranno un’identità”. Poi dipende davvero dalle persone, dal loro caso. Per me è stata la delusione d’amore. Un quattordicenne che non trova il suo posto, che ha dei dubbi sulla sua identità, l’ISIS nei video gli dice: “se vai in Siria sarai un eroe, parleranno di te, potrai… anche avere dei soldi, una bella casa”. A quattordici-quindici anni non ci pensi e vai. Io l’ho fatto a 29.

Si può battere tutto questo?

Insieme possiamo arrivarci, ma ci vorrà tempo. L'autoproclamato Stato Islamico vuole che ci separiamo, ma non dobbiamo fare quello che vogliono, dobbiamo essere solidali, e insieme batterci contro di loro. Anche rispetto agli attentati… questa è la loro idea: faremo degli attentati, cosi i non-musulmani odieranno i musulmani, e poi i musulmani diranno: "Ci respingono, partiamo". E’ questo ciò che vogliono. Non bisogna giocare il loro gioco. Bisogna dire: ci sono stati gli attentati, ma il problema non è l’Islam, è il terrorismo. Non sono i musulmani. Bisogna rimanere solidali. Questo forse li distruggerà, li destabilizzerà.

Laura Passoni et Catherine Lorsignol
Au coeur de Daesh avec mon fils
Editions La boite à Pandore, Paris, 2016

Dal TG20:


RG 18.30 dell'11.11.16 - L'intervista di Tomas Miglierina

RSI Mondo 11.11.2016, 19:27

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