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Una vita nel braccio della morte

Intervista a Ndume Olatushani. Per 28 anni detenuto per un reato non commesso: 20 li ha trascorsi in attesa di essere giustiziato

  • 10 October 2017, 11:10
  • 8 June 2023, 09:44
Ndume Olatushani, oggi ha 55 anni. Ne ha trascorsi 28 in carcere, di cui una ventina nel braccio della morte

Ndume Olatushani, oggi ha 55 anni. Ne ha trascorsi 28 in carcere, di cui una ventina nel braccio della morte

  • ©RSI/Emiliano Bos

"Non ho mai ceduto all'idea che sarei stato giustiziato per qualcosa che non avevo commesso. E poi ho sempre saputo che un giorno sarei tornato a casa. Non sono rimasto seduto ad aspettare di morire". Ha avuto una pazienza infinita Ndume Olatushani. Non si percepisce rancore nelle sue parole: "Dentro il carcere volevo vivere. Ho rifiutato di lasciare che fossero le circostanze a decidere. Ero pieno di vita dentro il braccio della morte".

Dentro il braccio della morte, in Tennessee, ha lasciato una parte della sua vita. Entrato quando aveva 26 anni, ci ha trascorso il fiore della sua esistenza. Quattro lustri. Poi altri 8 anni in prigione in attesa di tornare libero. L'omicidio per cui una giuria di bianchi aveva condannato questo afro-americano non l'aveva commesso lui.

"Nessun errore giudiziario"

"Nel mio caso non è stato un errore", ci racconta Olatushani. "I giudici sapevano benissimo quello che stavano facendo a me. Nessuno ha commesso un errore in buona fede pensando che io fossi colpevole. Sapevano invece che io non avevo commesso alcun crimine, tutte le prove usate contro di me sono state fabbricate e falsificate".

Una battaglia non solo legale, ma contro la discriminazione razziale tuttora presente nel sistema della giustizia americana. "È una delle istituzioni del nostro paese dove si vedono chiaramente le conseguenze del razzismo", sostiene Olatushani. Un sistema – dice – che semplicemente "va riformato". Stupisce la sua calma, il modo pacato in cui si riferisce a un meccanismo che gli ha letteralmente rubato 28 anni di vita. Un sistema senza eguali nel modo: l'incarcerazione di massa negli Stati Uniti ha portato in carcere oltre 2 milioni di persone.

Mass incarceration

Negli Stati Uniti, secondo Olatushani, ci sono persone che "calcolano i propri profitti futuri sui ragazzini di seconda-terza elementare che potrebbero più avanti finire in carcere solo per i loro voti e per la loro comunità di provenienza". In altre parole, dice l'ex detenuto, è necessario capire un aspetto fondamentale dell'incarcerazione di massa: qualcuno scommette sul fatto che determinate fasce di ragazzi finiranno in carcere anziché al college. In questo paese – aggiunge - rinchiudere le persone in carcere è un business da centinaia di miliardi di dollari. "Questo significa semplicemente che qualcuno deve finire in carcere, su questo non si discute".

"Un'altra vita"

Olatushani è uscito dal carcere 5 anni fa. Da allora lavora come attivista proprio con questi ragazzi, attraverso l'associazione Children Defense Fund. Con loro promuove anche forme di arte sul tema della giustizia. E l'arte è entrata nella sua vita quando lui stava seppellito in una cella di 2 metri per 3, uscendo solo per l'ora d'aria quotidiana.

Windows on death row

Lì nel braccio della morte, ci racconta, ha imparato a disegnare e dipingere. Per questo vediamo un suo quadro esposto alla Columbia University di New York, nella mostra "Windows on death row", "Finestre sul braccio della morte", promossa dal vignettista svizzero-libanese Patrick Chappatte. Pur non avendo finestre nella sua cella, Olatushani è riuscito a spalancarla. E in qualche caso, a volare fuori da quella finestra. Almeno col pensiero. "La pittura mi ha salvato la vita, davvero", dice ancora Olatushani. In cella ha iniziato a disegnare e dipingere. "In questa solitudine, in questo piccolo spazio dove ero rinchiuso, con la pittura sono riuscito a trovare libertà".

E in un giorno atteso per una vita, finalmente, la libertà è arrivata davvero.

Emiliano Bos/Diem

L'INTERVISTA INTEGRALE

L'intervista integrale è stata diffusa nell'edizione di oggi, martedì 10 ottobre (15esima Giornata internazionale contro la pena di morte), di Modem (ReteUno alle 8.20) Cronache dal braccio della morte con ospiti: Riccardo Nouri, portavoce di Amnesty International in Italia, Carlo Frappi, analista ed esperto di Turchia e con il giudice ticinese Mauro Ermani, presidente del Tribunale penale cantonale.

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