Oggi, la storia

Socrate! Chi era costui?

di Alessandro Stroppa

  • 27 maggio 2016, 09:05
Statua di Socrate al Parco Ciani

La statua di Socrate al Parco Ciani di Lugano

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Oggi, la storia
Venerdì 27 maggio 2016 - 07:05

Un avventore che passeggi distrattamente all’interno del Parco Ciani di Lugano s’imbatterà, nei pressi della darsena, in una scultura, che ritrae un uomo anziano mollemente adagiato su ampio seggio: un dormiglione ozioso, o forse un vecchio ebbro inebetito dai fumi dell’alcol. Tale devono averlo considerato le pie mani dei vandali che fino al 1998 hanno ripetutamente imbrattato l’opera con epigrafi e grafemi d’ogni sorta, accanendosi poi anche sulla copia in resina che l’aveva sostituita fino al 2007. Magari avessero saputo che si tratta di un’opera d’arte di tutto rispetto! È, infatti, il Socrate morente dello scultore russo Markus Antokolski, esimia opera marmorea realizzata nel 1876 e donata alla città di Lugano nel 1917 da Clemente Maraini. Sottratta anche la copia, nel 2007, all’ingiuria delle intemperie e alle amabili dediche epigrafiche di mani ignote – le mani dell’ἄγνοια (àghnoia), avrebbe forse detto Socrate a suo tempo, dell’ignoranza bestiale e sesquipedale –, è stata solo recentemente ricollocata al suo posto (il 16 febbraio scorso): e chissà se anche in futuro non venga abbellita dall’arte sublime ed ineffabile dei maestri del littering.

Platone nel Fedro narra che Socrate nel 399 a.C. fu ingiustamente condannato a morte dallo Stato tramite l’assunzione della cicuta: il rito si compì alla presenza dei suoi discepoli, che il filosofo esortò a non abbandonarsi al pianto e ad essere forti. «Egli» – scrive Platone – dopo aver bevuto il veleno «camminò per un po’: poi, quando disse che le gambe gli si appesantivano si sdraiò supino, e il carnefice che gli aveva dato il veleno, toccandolo di tanto in tanto gli esaminava i piedi e le gambe e, ad un tratto, premendo forte su un piede, gli domandò se sentiva, ed egli rispose di no. E dopo di ciò gli toccò le gambe. E così mostrava che si raffreddava e s’irrigidiva. Egli continuava a toccarlo e disse che quando il freddo fosse arrivato al cuore, sarebbe morto». Dette le ultime parole, Socrate irrigidì lo sguardo e Critone, suo discepolo, gli chiuse la bocca e gli occhi.

Fu proprio tale fatidico momento che Antokolski imprigionò nel marmo. La morte del «migliore» (ἄριστος, àristos), del più «saggio» (φρονιμώτατος, phronimòtatos) e del più «giusto» (δικαιότατος, dikaiòtatos) degli uomini subisce però un’ultima onta che sopravvive al suo martirio: nessuno, tra i barbari dei tempi odierni, si è ricordato di porre una targa che palesi l’identità del filosofo e dell’artista che ne immortalò la morte.

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