La decisione della Banca Nazionale Svizzera di imporre un limite all’apprezzamento del franco ha suscitato un coro di acclamazioni tra le forze politiche. Alcuni partiti avrebbero voluto fissare il peg ad un livello piu’ alto: 1,2 è troppo basso, meglio 1,4, e perchè non 1,6 allora? Esportazioni piu’ competitive, crescita, disoccupazione zero, insomma un vero e proprio libro dei sogni.
Mi permetto di fare l’avvocato del diavolo, e di suggerire uno scenario meno roseo. Se si tratta di pessimismo o di un reality check, si vedrà nei prossimi mesi. Prima di tutto, chiariamo che cosa vuol dire non lasciare cadere il cambio franco-euro al di sotto di 1,2. Significa che la BNS si dispone ad assorbire quantità potenzialmente il-limitate di Euro al prezzo di un franco e venti per Euro. Poniamo, per esempio, che gli investitori fossero disposti ad acquistare un franco al prezzo di un euro, la BNS immette liquidità in franchi fino a che il prezzo di un franco scende a 0,83 Euro.
Con questo in mente, passiamo a Francoforte. La Banca Centrale Europea sta perdendo quell’autonomia vantata orgogliosamente sin dalla fondazione. Rompendo taboos e regole celebrate, la BCE sta monetizzando il debito dei paesi sovrani dell’area Euro che sono in difficoltà. Senza tale intervento, gli spread già elevati sali-rebbero alle stelle, e questi paesi si troverebbero nell’incapacità di rifinanziarsi. Quali sono le conseguenze di questa politica? L’espansione monetaria in atto produrra’ un’impennata dell’inflazione nell’area Euro. Si noti incidentalmente che tale inflazione è benvenuta dai paesi ad alto indebitamento: in termini reali si tratta di un parziale default senza traumi sulla consistenza del debito sovrano.
Supponiamo ora che si insinui negli investitori internazionali il dubbio che il peg del franco svizzero non sia sostenibile. Il cambio, oggi, è ancorato, ma in futuro chissà. Diventa allora attraente disfarsi di titoli e liquidità in Euro convertendoli nei franchi svizzeri offerti dalla BNS. Insomma, la BCE emette Euro per acquistare titoli di stato dei paesi membri, e gli investitori cambierebbero questi in franchi svizzeri. È un po’ come se il debito del sud dell’Europa venisse assorbito dall’emissione di franchi! Tale solidarietà non è senza un costo. La politica monetaria ultra-espansiva cui la BNS si vedrebbe costretta produrrebbe inflazione, potenzialmente ad alti livelli. La Svizzera, con un tasso di disoccupazione al 2,8% ed un basso indebitamento pubblico non ha bisogno di inflazione. Tuttavia, ancorata al Titanic-Euro, rischia di condividerne le sorti.
Qualora l’inflazione divenisse intollerabile, non esisterebbero soluzioni facili. Alzare i tassi di interesse sarebbe fuori discussione, dato che non farebbe che aumentare l’afflusso di capitali. L’unica opzione sarebbe quella di abbandonare il peg e lasciare apprezzare il franco. La plausibilità di questa sequenza di eventi rende credibile che gli investitori dubitino in prima istanza della sostenibilità del peg, e che lo attacchino. È un esempio di quelle che la teoria economica definisce self-fulfilling expectations, cioè aspettative che si autoconfermano.
Si tratta, sia chiaro, di un worst-case scenario. È possibile che, almeno nel breve periodo, gli investitori non dubitino della tenuta del peg e rivolgano le loro attenzioni verso altri beni o valute rifugio. Ma siamo su un terreno fragile e pieno di rischi.
Mi permetto di fare l’avvocato del diavolo, e di suggerire uno scenario meno roseo. Se si tratta di pessimismo o di un reality check, si vedrà nei prossimi mesi. Prima di tutto, chiariamo che cosa vuol dire non lasciare cadere il cambio franco-euro al di sotto di 1,2. Significa che la BNS si dispone ad assorbire quantità potenzialmente il-limitate di Euro al prezzo di un franco e venti per Euro. Poniamo, per esempio, che gli investitori fossero disposti ad acquistare un franco al prezzo di un euro, la BNS immette liquidità in franchi fino a che il prezzo di un franco scende a 0,83 Euro.
Con questo in mente, passiamo a Francoforte. La Banca Centrale Europea sta perdendo quell’autonomia vantata orgogliosamente sin dalla fondazione. Rompendo taboos e regole celebrate, la BCE sta monetizzando il debito dei paesi sovrani dell’area Euro che sono in difficoltà. Senza tale intervento, gli spread già elevati sali-rebbero alle stelle, e questi paesi si troverebbero nell’incapacità di rifinanziarsi. Quali sono le conseguenze di questa politica? L’espansione monetaria in atto produrra’ un’impennata dell’inflazione nell’area Euro. Si noti incidentalmente che tale inflazione è benvenuta dai paesi ad alto indebitamento: in termini reali si tratta di un parziale default senza traumi sulla consistenza del debito sovrano.
Supponiamo ora che si insinui negli investitori internazionali il dubbio che il peg del franco svizzero non sia sostenibile. Il cambio, oggi, è ancorato, ma in futuro chissà. Diventa allora attraente disfarsi di titoli e liquidità in Euro convertendoli nei franchi svizzeri offerti dalla BNS. Insomma, la BCE emette Euro per acquistare titoli di stato dei paesi membri, e gli investitori cambierebbero questi in franchi svizzeri. È un po’ come se il debito del sud dell’Europa venisse assorbito dall’emissione di franchi! Tale solidarietà non è senza un costo. La politica monetaria ultra-espansiva cui la BNS si vedrebbe costretta produrrebbe inflazione, potenzialmente ad alti livelli. La Svizzera, con un tasso di disoccupazione al 2,8% ed un basso indebitamento pubblico non ha bisogno di inflazione. Tuttavia, ancorata al Titanic-Euro, rischia di condividerne le sorti.
Qualora l’inflazione divenisse intollerabile, non esisterebbero soluzioni facili. Alzare i tassi di interesse sarebbe fuori discussione, dato che non farebbe che aumentare l’afflusso di capitali. L’unica opzione sarebbe quella di abbandonare il peg e lasciare apprezzare il franco. La plausibilità di questa sequenza di eventi rende credibile che gli investitori dubitino in prima istanza della sostenibilità del peg, e che lo attacchino. È un esempio di quelle che la teoria economica definisce self-fulfilling expectations, cioè aspettative che si autoconfermano.
Si tratta, sia chiaro, di un worst-case scenario. È possibile che, almeno nel breve periodo, gli investitori non dubitino della tenuta del peg e rivolgano le loro attenzioni verso altri beni o valute rifugio. Ma siamo su un terreno fragile e pieno di rischi.
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