Circa 16 milioni di persone sono morte nel mondo a causa di guerre civili dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oltre tre quarti dei conflitti sono dovuti a perduranti rivalità interne tra diversi gruppi etnici. Tali eventi hanno avuto gravi ripercussioni sullo sviluppo economico dei paesi coinvolti.
Trent’anni or sono, molti ritenevano che la responsabilità fosse dell’eredità del colonialismo o della guerra fredda. Tuttavia, la caduta della cortina di ferro non ha portato con sè una riduzione dei conflitti. In molti casi, la chiave di lettura geopoltica internazionale non aiuta molto. Si pensi alla Somalia, all’Uganda, o al Rwanda, per esempio.
Il problema non è neppure facilmente riconducibile alla qualità delle costruzioni istituzionali. Per esempio, numerosi studi su dati internazionali dimostrano che istituzioni democratiche non riducono la propensione di un paese alla guerra civile, una volta che si siano tenuti in considerazione altri fattori quali la frammentazione etnica, il livello di reddito e l’abbondanza di risorse naturali. Per esempio, Colombia, India, Sri Lanka e le Filippine sono paesi relativamente democratici per il loro livello di reddito, eppure sono tormentati da conflitti interni. Nè si può ricondurre il tutto alla cosiddetta “maledizione” delle risorse naturali: la scoperta di giacimenti petroliferi non ha creato turbolenze in Norvegia. Lo stato africano del Botswana ha gestito pacificamente la propria ricchezza di giacimenti di diamanti.
Nel corso dell’ultimo decennio, la ricerca economica si è focalizzata sulla nozione di capital sociale. Tale termine indica in generale la capacità dei cittadini di cooperare a livello economico, sociale come alla produzione di beni pubblici. Il capitale sociale risulta essere una fonte di ricchezza delle nazioni in diverse dimensioni, compresa la stabilità sociale. In una serie di studi condotti in collaborazione con Dominic Rohner e Matthias Thoenig presso le Università di Zurigo e Losanna, mostriamo che esite un circolo vizioso che lega conflitti civili e capitale sociale. Le guerre etniche distruggono il capitale sociale, compromettendo la cooperazione economica futura tra gruppi etnici diversi. La paucità di relazioni sociali e commerciali riduce a sua volta il costo-opportunità di scatenare nuovi conflitti, favorendone la reiterazione.
Verifichiamo empiricamente l’esistenza di tale circolo vizioso, utilizzando dati di inchiesta in cui viene chiesto ai rispondenti quale sia il loro livello di fiducia in altre persone, in altri gruppi etnici ed in membri del proprio intorno. Documentiamo che paesi con un basso livello di capitale sociale hanno una probabilità sostanzialmente più elevata di sperimentare conflitti interni in futuro, anche a parità di altre condizioni. L’esplosione di conflitti civili, a sua volta, genera una forte erosione del capitale sociale. Per esempio, in uno studio sui conflitti interni in Uganda nell’ultimo decennio, riscontriamo una forte caduta di capitale sociale in villaggi e gruppi etnici coinvolti nell’esplosione di violenze che ebbe luogo tra il 2002 ed il 2004, relativamente ad aree dell’Uganda meno esposte ai conflitti. La differenza è quantitativamente importante, essendo simile a quella che si riscontra tra il capitale sociale medio dei paesi scandinavi e quello dei paesi meno sviluppati
con i livelli più bassi di cooperazione. Inoltre, l’erosione del capitale sociale persiste parecchi anni dopo la fine dei conflitti, con un forte impatto negativo sulla capacità di ripresa economica. Nelle aree coinvolte si rafforza il senso di identità etnica degli intervistati a discapito del senso di identità nazionale. Il nostro studio fa eco ai risultati di ricercatori presso le Università di Harvard e Princeton che dimostrano che gruppi etnici che furono soggetti più intensamente alla tratta degli schiavi hanno tuttoggi meno capitale sociale di altri gruppi che vivono oggi nelle stessa aree.
In un altro nostro studio a livello internazionale documentiamo che la distruzione di capitale sociale è specialmente accentuata in coloro che vivono situazioni di guerra civile nella tenera infanzia.
La ricetta per interventi internazionali è che trasferimenti di risorse in un contesto di basso capitale sociale possono gettare il seme di nuove guerre per l’appropriazione di tali risorse. Al contrario, interventi mirati a favorire la collaborazione economica e sociale inter-etnica, che dimostrino che la coesistenza pacifica ha buoni dividendi, sono più promettenti.
Trent’anni or sono, molti ritenevano che la responsabilità fosse dell’eredità del colonialismo o della guerra fredda. Tuttavia, la caduta della cortina di ferro non ha portato con sè una riduzione dei conflitti. In molti casi, la chiave di lettura geopoltica internazionale non aiuta molto. Si pensi alla Somalia, all’Uganda, o al Rwanda, per esempio.
Il problema non è neppure facilmente riconducibile alla qualità delle costruzioni istituzionali. Per esempio, numerosi studi su dati internazionali dimostrano che istituzioni democratiche non riducono la propensione di un paese alla guerra civile, una volta che si siano tenuti in considerazione altri fattori quali la frammentazione etnica, il livello di reddito e l’abbondanza di risorse naturali. Per esempio, Colombia, India, Sri Lanka e le Filippine sono paesi relativamente democratici per il loro livello di reddito, eppure sono tormentati da conflitti interni. Nè si può ricondurre il tutto alla cosiddetta “maledizione” delle risorse naturali: la scoperta di giacimenti petroliferi non ha creato turbolenze in Norvegia. Lo stato africano del Botswana ha gestito pacificamente la propria ricchezza di giacimenti di diamanti.
Nel corso dell’ultimo decennio, la ricerca economica si è focalizzata sulla nozione di capital sociale. Tale termine indica in generale la capacità dei cittadini di cooperare a livello economico, sociale come alla produzione di beni pubblici. Il capitale sociale risulta essere una fonte di ricchezza delle nazioni in diverse dimensioni, compresa la stabilità sociale. In una serie di studi condotti in collaborazione con Dominic Rohner e Matthias Thoenig presso le Università di Zurigo e Losanna, mostriamo che esite un circolo vizioso che lega conflitti civili e capitale sociale. Le guerre etniche distruggono il capitale sociale, compromettendo la cooperazione economica futura tra gruppi etnici diversi. La paucità di relazioni sociali e commerciali riduce a sua volta il costo-opportunità di scatenare nuovi conflitti, favorendone la reiterazione.
Verifichiamo empiricamente l’esistenza di tale circolo vizioso, utilizzando dati di inchiesta in cui viene chiesto ai rispondenti quale sia il loro livello di fiducia in altre persone, in altri gruppi etnici ed in membri del proprio intorno. Documentiamo che paesi con un basso livello di capitale sociale hanno una probabilità sostanzialmente più elevata di sperimentare conflitti interni in futuro, anche a parità di altre condizioni. L’esplosione di conflitti civili, a sua volta, genera una forte erosione del capitale sociale. Per esempio, in uno studio sui conflitti interni in Uganda nell’ultimo decennio, riscontriamo una forte caduta di capitale sociale in villaggi e gruppi etnici coinvolti nell’esplosione di violenze che ebbe luogo tra il 2002 ed il 2004, relativamente ad aree dell’Uganda meno esposte ai conflitti. La differenza è quantitativamente importante, essendo simile a quella che si riscontra tra il capitale sociale medio dei paesi scandinavi e quello dei paesi meno sviluppati
con i livelli più bassi di cooperazione. Inoltre, l’erosione del capitale sociale persiste parecchi anni dopo la fine dei conflitti, con un forte impatto negativo sulla capacità di ripresa economica. Nelle aree coinvolte si rafforza il senso di identità etnica degli intervistati a discapito del senso di identità nazionale. Il nostro studio fa eco ai risultati di ricercatori presso le Università di Harvard e Princeton che dimostrano che gruppi etnici che furono soggetti più intensamente alla tratta degli schiavi hanno tuttoggi meno capitale sociale di altri gruppi che vivono oggi nelle stessa aree.
In un altro nostro studio a livello internazionale documentiamo che la distruzione di capitale sociale è specialmente accentuata in coloro che vivono situazioni di guerra civile nella tenera infanzia.
La ricetta per interventi internazionali è che trasferimenti di risorse in un contesto di basso capitale sociale possono gettare il seme di nuove guerre per l’appropriazione di tali risorse. Al contrario, interventi mirati a favorire la collaborazione economica e sociale inter-etnica, che dimostrino che la coesistenza pacifica ha buoni dividendi, sono più promettenti.
Tags: plusvalore, conflitti etnici, capitale sociale, economia