(Reuters Pictures)

Conflitti, rifugiati e superpotenze

di Fabrizio Zilibotti

Plusvalore
Giovedì 17 settembre 2015 - 12:20

In uno studio dal titolo networks in conflitto condotto con collaboratori presso le Università di Losanna e Zurigo, analizziamo il conflitto che attanaglia dalla metà degli anni ´90 la Repubblica Democratica del Congo. Uno dei contributi della ricerca è stabilire la quota di responsabilità di ciascun gruppo combattente alla recrudescenza del conflitto, quando si tenga conto dei complessi legami di alleanze e rivalità tra i gruppi armati. I risultati mostrano che la presenza o l’inferenza di eserciti stranieri è responsabile fino al 40% dell’intensità del conflitto.

Non abbiamo applicato il modello al conflitto siriano, ma le similarità sono tante. Trattasi di un conflitto frammentato tra molteplici gruppi ostili appoggiati da diversi paesi stranieri. La Siria poi, come la Repubblica Democratica del Congo, è un paese altamente frazionato dal punto di vista etnico e religioso. Contrariamente al Congo, prima dello scoppio della guerra civile, la Siria era un paese dove vigeva una certa normalità. Normalità imposta da un regime autoritario, certamente, con una base di potere radicata in un gruppo etnico minoritario, ma anche un potere secolare ostile al settarismo religioso che controllava il territorio e garantiva una legalità diffusa.

Come nel Congo, anche in Siria l’esplosione della guerra civile si deve largamente all’intervento di potenze straniere. Per gli Stati Uniti ed il Regno Unito, Bashar al-Assad era il nemico pubblico numero uno, l’alleato di ferro di storici nemici quali Russia ed Iran. Per i paesi del golfo era ancor peggio, un nemico religioso. E cos ì la rivolta di parte della popolazione sunnita si trasforma in un’insurrezione armata supportata da un’enorme potenziale bellico. Peccato che nel giro di alcuni mesi le stesse armi sofisticate gentilmente donate da Cameron, Obama e gli sceicchi passino di mano insieme ai combattenti, spostandosi dal cosiddetto esercito siriano libero, a quello dello Stato Islamico radicale che aborre l’occidente ed i suoi valori. E così una cinica operazione geostrategica in stile tardo-guerra fredda si trasforma nell’ennesimo fiasco politico e militare.

Una strategia di uscita semplicemente non esiste. Gli esperti consigliano di azzerare la situazione e promuovere insieme alla Russia e all’Iran una riappacificazione delle forze che si oppongono allo stato islamico, compreso Bashar. Tuttavia questo è inaccettabile per le potenze del golfo, rinomate paladine della democrazia occidentale. Difficile pensare che Obama e Cameron possano dispiacere tali alleati fidati.

Ed allora arriva la crisi dei rifugiati che fuggono, comprensibilmente, dai luoghi di morte e distruzione. Come risponde l’Europa? Come sempre in modo caotico, approssimativo, ed incoerente. Un giorno costruendo muri, l’altro dichiarando le frontiere aperte, il terzo giorno bloccando i rifugiati ed annullando Schengen. Populisti di destra e sinistra si sgolano alla ricerca di consensi elettorali sulla pelle dei rifugiati. Ed i grandi responsabili che fanno? Di fronte ad un flusso di centinaia di migliaia di rifugiati, gli Stati Uniti offrono generosamente di prenderne 10,000, mentre Cameron si distanzia altezzosamente dall’Unione Europea promettendo di andare a prendere i rifugiati direttamente in Siria. Insomma chi ha seminato vento, non raccoglie la tempesta causata. Che se la vedano quelli poveri e piccoli: l’Ungheria, la Slovacchia, e, perché no, la Grecia infame. Questi paesi, sì, hanno bisogno di lezioni di democrazia e civiltà anglosassone!

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