La fonte principale delle difficoltà economiche per la confederazione è stata e continua ad essere la debolezza della domanda internazionale. Parlando a Basilea alla riunione mensile dei banchieri centrali, Jean-Claude Trichet ha tracciato un quadro complessivamente ottimistico sulle prospettive dell’economia mondiale. La Cina sta assumendo il traino della ripresa economia mondiale: tanto le sue esportazioni come soprattutto le importazioni sono letteralmente esplose nel mese di dicembre. Anche se i segnali dagli altri paesi sono piu’ timidi e contraddittori, nel complesso si è già verificata un’inversione delle aspettative. Insomma, la ripresa della domanda internazionale è in corso.
Perché allora la disoccupazione continua a crescere tanto in Svizzera come nell’Unione Europea? È importante ricordare che questa evoluzione, vale a dire il protrarsi della caduta dell’occupazione anche quando la recessione ha raggiunto il punto piu’ critico, era ampiamente previsto. Si dia un’occhiata alle previsioni economiche nel corso del 2008. Per tre trimestri consecutivi, le previsioni elaborate dal KOF di Zurigo hanno pronosticato che la ripresa della produzione nel 2010 sarebbe accompagnata da un aumento della disoccupazione, che si attendeva avrebbe rasentato il 5% nel 2010 a livello nazionale. Ugulamente, la SECO prevedeva che si sarebbe superata la soglia dei 200000 disoccupati. L’ultimo rilevamento reale indica un tasso di disoccupazione nazionale del 4.4%, con il 5.7% nel Ticino. Insomma, i dati sono finora in linea con le aspettative, se non leggermente migliori. Tra le cause dello sfasamento tra ripresa e trend dell’occupazione vi è il fatto che molte imprese in difficoltà hanno tenuto botta e dato fondo alle riserve nel momento piu’ duro della crisi. Molte ce la faranno, ma per altre la ripresa non è arrivata in tempo, e non vi sono alternative al ridimensionamento o alla chiusura.
Passiamo alle politiche: Sei mesi fa, ho sostenuto che sarebbe stato un grave errore imbarcarsi in grandi piani di spesa come si chiedeva, soprattutto da sinistra. Il Consiglio Federale ha mantenuto i nervi saldi e si è limitato a interventi limitati – con l’eccezione del pacchetto UBS sulle cui modalità ho avuto occasione di esprimere valutazioni critiche in passato. Un aumento precoce della spesa pubblica sarebbe stato inutile al fine di limitare gli effetti della crisi e nefasto dal punto di vista del bilancio. Ne avremmo pagato il prezzo ora che il bisogno di spesa è reale e che, sorpresa sorpresa, si scopre che c’è un problema di disavanzo pubblico.
Ora però è arrivato il momento di ripartire equamente i costi della crisi. In questo quadro, è un errore ritoccare verso il basso le prestazioni di disoccupazione come invece si sta facendo con la cosiddetta quarta revisione dell’ assicurazione disoccupazione. Al contrario, si dovrebbero prolungare per un tempo limitato le prestazioni per coloro per cui queste hanno raggiunto la scadenza. Chiaramente, all’aumentare del tasso di disoccupazione, il costo per lavoratore occupato aumenta. Insomma, niente arriva gratuitamente: la crisi si paga. Ma il conto va diviso tra tutti. In questa occasione, la sinistra ha a mio giudizio ragione.
Ricordiamoci un principio importante: in tempi normali i sussidi di disoccupa-zione non possono essere eccessivamente generosi, perché si darebbero cattivi incentivi a chi deve cercare attivamente un impiego. È un problema classico di “azzardo morale” usando linguaggio degli economisti. Questo azzardo morale svanisce nel corso di una crisi dalle dimensioni attuali. I lavoratori che perdono il lavoro durante la crisi non hanno responsabilità per le loro avversità. Chi non ha lavoro è ben lieto di trovarne uno. Il disincentivo generato dai sussidi è minimo.
Inoltre sbaglia il Consiglio Nazionale quando propone misure affinchè i giovani cerchino lavoro con maggiore intensità ed accettino lavori inadatti alle proprie qualificazioni. Sarebbe invece saggio tenere parte di questi giovani fuori dal mercato del lavoro, promuovendo il prolungamento di attività formative o educative. Innumerevoli studi dimostrano che chi inizia l’esperienza lavorativa in condizioni macroeconomiche avverse ne viene pregiudicato durante l’intera esperienza lavorativa. Insomma chi entra in un mercato del lavoro depresso rischia di portare le stigma per qualche decennio Putroppo, la logica della stretta di bilancio va nella direzione opposta.
In conclusione, la gestione della crisi richiede rigore e responsabilità, ma anche solidarietà sociale. Dividere tra l’intera popolazione lavoratrice l’onere di una caduta del reddito del 2% implica un sacrificio limitato per tutti. Concentrarla sul 5% della popolazione significa imporre costi umani e psicologici enormi ai meno fortunati. L’argomentazione economica dietro tale egoismo non sussiste.
Perché allora la disoccupazione continua a crescere tanto in Svizzera come nell’Unione Europea? È importante ricordare che questa evoluzione, vale a dire il protrarsi della caduta dell’occupazione anche quando la recessione ha raggiunto il punto piu’ critico, era ampiamente previsto. Si dia un’occhiata alle previsioni economiche nel corso del 2008. Per tre trimestri consecutivi, le previsioni elaborate dal KOF di Zurigo hanno pronosticato che la ripresa della produzione nel 2010 sarebbe accompagnata da un aumento della disoccupazione, che si attendeva avrebbe rasentato il 5% nel 2010 a livello nazionale. Ugulamente, la SECO prevedeva che si sarebbe superata la soglia dei 200000 disoccupati. L’ultimo rilevamento reale indica un tasso di disoccupazione nazionale del 4.4%, con il 5.7% nel Ticino. Insomma, i dati sono finora in linea con le aspettative, se non leggermente migliori. Tra le cause dello sfasamento tra ripresa e trend dell’occupazione vi è il fatto che molte imprese in difficoltà hanno tenuto botta e dato fondo alle riserve nel momento piu’ duro della crisi. Molte ce la faranno, ma per altre la ripresa non è arrivata in tempo, e non vi sono alternative al ridimensionamento o alla chiusura.
Passiamo alle politiche: Sei mesi fa, ho sostenuto che sarebbe stato un grave errore imbarcarsi in grandi piani di spesa come si chiedeva, soprattutto da sinistra. Il Consiglio Federale ha mantenuto i nervi saldi e si è limitato a interventi limitati – con l’eccezione del pacchetto UBS sulle cui modalità ho avuto occasione di esprimere valutazioni critiche in passato. Un aumento precoce della spesa pubblica sarebbe stato inutile al fine di limitare gli effetti della crisi e nefasto dal punto di vista del bilancio. Ne avremmo pagato il prezzo ora che il bisogno di spesa è reale e che, sorpresa sorpresa, si scopre che c’è un problema di disavanzo pubblico.
Ora però è arrivato il momento di ripartire equamente i costi della crisi. In questo quadro, è un errore ritoccare verso il basso le prestazioni di disoccupazione come invece si sta facendo con la cosiddetta quarta revisione dell’ assicurazione disoccupazione. Al contrario, si dovrebbero prolungare per un tempo limitato le prestazioni per coloro per cui queste hanno raggiunto la scadenza. Chiaramente, all’aumentare del tasso di disoccupazione, il costo per lavoratore occupato aumenta. Insomma, niente arriva gratuitamente: la crisi si paga. Ma il conto va diviso tra tutti. In questa occasione, la sinistra ha a mio giudizio ragione.
Ricordiamoci un principio importante: in tempi normali i sussidi di disoccupa-zione non possono essere eccessivamente generosi, perché si darebbero cattivi incentivi a chi deve cercare attivamente un impiego. È un problema classico di “azzardo morale” usando linguaggio degli economisti. Questo azzardo morale svanisce nel corso di una crisi dalle dimensioni attuali. I lavoratori che perdono il lavoro durante la crisi non hanno responsabilità per le loro avversità. Chi non ha lavoro è ben lieto di trovarne uno. Il disincentivo generato dai sussidi è minimo.
Inoltre sbaglia il Consiglio Nazionale quando propone misure affinchè i giovani cerchino lavoro con maggiore intensità ed accettino lavori inadatti alle proprie qualificazioni. Sarebbe invece saggio tenere parte di questi giovani fuori dal mercato del lavoro, promuovendo il prolungamento di attività formative o educative. Innumerevoli studi dimostrano che chi inizia l’esperienza lavorativa in condizioni macroeconomiche avverse ne viene pregiudicato durante l’intera esperienza lavorativa. Insomma chi entra in un mercato del lavoro depresso rischia di portare le stigma per qualche decennio Putroppo, la logica della stretta di bilancio va nella direzione opposta.
In conclusione, la gestione della crisi richiede rigore e responsabilità, ma anche solidarietà sociale. Dividere tra l’intera popolazione lavoratrice l’onere di una caduta del reddito del 2% implica un sacrificio limitato per tutti. Concentrarla sul 5% della popolazione significa imporre costi umani e psicologici enormi ai meno fortunati. L’argomentazione economica dietro tale egoismo non sussiste.
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