Infine, l’intervento della comunità internazionale è arrivato. Mentre registro questo intervento, non è noto l’andamento odierno dei mercati. Ieri, lunedì, si è respirata un’aria di grande euforia. Euforici i mercati, estatici molti commentatori economici e non dei quotidiani. Nell’ombra - dice la favola - piangevano i potenti mestatori che avevano ordito una trama oscura contro l’Euro e l’Europa. Secondo Eugeno Scalfari, l’obiettivo della grande congiura era la Banca Centrale Europea. Gianni Riotta se la prendeva ancora una volta con la codardia di Angela Merkel sul Sole 24 Ore. Berlusconi e Tremonti, noti salvatori dell’Italia, accampano meriti per il salvataggio dell’Europa. Insomma, siamo alla vittoria del bene sul male: una domenica da leoni per l’Unione Europea.
Agli ignari e un po’ distaccati cittadini si raccontano complicate storie di intrighi. Eppure i fatti sono assolutamente semplici. Nel corso di un anno di follia in cui si è udito che gli unici governi virtuosi sono quelli che hanno il coraggio di imbarcarsi in grandi piani di spesa finanziati con l’emissione di debito, qualcuno, soprattutto nel sud dell’Europa, ha esagerato.
Finchè un bel giorno i mercati hanno cominciato a chiedersi se questa allegra combriccola sarebbe mai stata in grado di saldare il proprio debito con gli introiti fiscali presenti e futuri. Il brutto è che i dubbi si sono tramutati in panico quando la contabilità creativa della Grecia è venuta alla luce. Come scriveva Giacomo Leopardi: “All’apparir del vero tu, misera, cadesti...”. È poi verosimile che qualche scaltro investitore istituzionale abbia pensato di cavalcare l’onda, e che la speculazione abbia dato uno spintone alla crisi.
Ma che cosa sarebbe successo se la Grecia fosse stata incapace di rifinanziarsi e costretta a rinegoziare il debito sovrano? Nel contesto attuale, tra aspettative di intervento ed ogni sorta di rumori, c’era il rischio di precipitare nel caos. Ma tutto sarebbe stato diverso se fosse stato chiaro fin dall’inizio che il debito sovrano non è una questione dell’Unione Europea. Supponiamo, per fare un esempio, che l’Albania adottasse unilateralmente l’Euro come valuta di corso legale, e poi si indebitasse a rotta di collo fino all’insolvenza. Quali sarebbero gli effetti sul resto dell’Europa? Semplicemente, nessuno! Eccetto ovviamente per chi avesse acquistato i titoli albanesi. La stessa storia vale per la Grecia... Ma allora perché tante tensioni, perché lo scivolamento dell’Euro (un problema a mio giudizio più per la Svizzera o gli Stati Uniti che per Eurolandia). Semplicemente, perché il mercato anticipava un intervento. Per esempio,una possibile monetizzazione del debito da parte della BCE, possibilità che almeno per il momento è scongiurata. Insomma, un eventuale default avrebbe forzato Atene a stare fuori dal mercato per qualche anno, causando nel frattempo perdite secche in quegli investitori, privati e soprattutto banche, che detengono titoli di debito greco. Proprio questi forti interessi privati – gli stessi del “too big to fail” -- sono la radice politico-economica che guida le aspettative dei mercati di un intervento dei governi. Un intervento che fornisce una garanzia a favore non tanto della Grecia, quanto delle banche dei vari paesi che si erano riempite ancora una volta le casse di titoli tossici ad alto rischio.
Ciò detto, stante la situazione, è difficile sostenere che ci fossero alternative. Tuttavia, non vedo grandi ragioni per gioire. Nè credo che la Germania avesse torto quando chiedeva di subordinare l’intervento stesso ad una chiara e seria definizione degli strumenti di disciplina – incluso limitazioni di sovranità per gli stati delinquenti. L’accordo di ieri è nebuloso al rispetto, e dal punto di vista istituzionale è un altro passo verso il baratro. Siamo al bailout facile e garantito, dove sono gli incentivi? Alla prossima occasione, la logica dell’emergenza prevarrà ancora.
Inoltre, nonostante l’impegno di oltre 700 miliardi di Euro, la tenuta dell’intervento è tutto da verificare. Negli anni 90 abbiamo visto governi e banche centrali europee impartire sonore quanto costose lezioni di un giorno agli speculatori che attaccavano la banda di fluttuazione di questa o quella valuta, salvo poi subire il KO finale. Se la situazione strutturale della Grecia e dell’allegra combriccola non cambia – e ci sono ragione per dubitare che il deficit struttrale sia sanabile – l’Europa ha preso tempo, ma non ha risolto la crisi.
Agli ignari e un po’ distaccati cittadini si raccontano complicate storie di intrighi. Eppure i fatti sono assolutamente semplici. Nel corso di un anno di follia in cui si è udito che gli unici governi virtuosi sono quelli che hanno il coraggio di imbarcarsi in grandi piani di spesa finanziati con l’emissione di debito, qualcuno, soprattutto nel sud dell’Europa, ha esagerato.
Finchè un bel giorno i mercati hanno cominciato a chiedersi se questa allegra combriccola sarebbe mai stata in grado di saldare il proprio debito con gli introiti fiscali presenti e futuri. Il brutto è che i dubbi si sono tramutati in panico quando la contabilità creativa della Grecia è venuta alla luce. Come scriveva Giacomo Leopardi: “All’apparir del vero tu, misera, cadesti...”. È poi verosimile che qualche scaltro investitore istituzionale abbia pensato di cavalcare l’onda, e che la speculazione abbia dato uno spintone alla crisi.
Ma che cosa sarebbe successo se la Grecia fosse stata incapace di rifinanziarsi e costretta a rinegoziare il debito sovrano? Nel contesto attuale, tra aspettative di intervento ed ogni sorta di rumori, c’era il rischio di precipitare nel caos. Ma tutto sarebbe stato diverso se fosse stato chiaro fin dall’inizio che il debito sovrano non è una questione dell’Unione Europea. Supponiamo, per fare un esempio, che l’Albania adottasse unilateralmente l’Euro come valuta di corso legale, e poi si indebitasse a rotta di collo fino all’insolvenza. Quali sarebbero gli effetti sul resto dell’Europa? Semplicemente, nessuno! Eccetto ovviamente per chi avesse acquistato i titoli albanesi. La stessa storia vale per la Grecia... Ma allora perché tante tensioni, perché lo scivolamento dell’Euro (un problema a mio giudizio più per la Svizzera o gli Stati Uniti che per Eurolandia). Semplicemente, perché il mercato anticipava un intervento. Per esempio,una possibile monetizzazione del debito da parte della BCE, possibilità che almeno per il momento è scongiurata. Insomma, un eventuale default avrebbe forzato Atene a stare fuori dal mercato per qualche anno, causando nel frattempo perdite secche in quegli investitori, privati e soprattutto banche, che detengono titoli di debito greco. Proprio questi forti interessi privati – gli stessi del “too big to fail” -- sono la radice politico-economica che guida le aspettative dei mercati di un intervento dei governi. Un intervento che fornisce una garanzia a favore non tanto della Grecia, quanto delle banche dei vari paesi che si erano riempite ancora una volta le casse di titoli tossici ad alto rischio.
Ciò detto, stante la situazione, è difficile sostenere che ci fossero alternative. Tuttavia, non vedo grandi ragioni per gioire. Nè credo che la Germania avesse torto quando chiedeva di subordinare l’intervento stesso ad una chiara e seria definizione degli strumenti di disciplina – incluso limitazioni di sovranità per gli stati delinquenti. L’accordo di ieri è nebuloso al rispetto, e dal punto di vista istituzionale è un altro passo verso il baratro. Siamo al bailout facile e garantito, dove sono gli incentivi? Alla prossima occasione, la logica dell’emergenza prevarrà ancora.
Inoltre, nonostante l’impegno di oltre 700 miliardi di Euro, la tenuta dell’intervento è tutto da verificare. Negli anni 90 abbiamo visto governi e banche centrali europee impartire sonore quanto costose lezioni di un giorno agli speculatori che attaccavano la banda di fluttuazione di questa o quella valuta, salvo poi subire il KO finale. Se la situazione strutturale della Grecia e dell’allegra combriccola non cambia – e ci sono ragione per dubitare che il deficit struttrale sia sanabile – l’Europa ha preso tempo, ma non ha risolto la crisi.
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