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Finanziamenti cinesi: insegnamenti dalla crisi venezuelana

di Pietro Veglio

  • 25 febbraio 2015, 13:20
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  • Reuters

Finanziamenti cinesi: insegnamenti dalla crisi venezuelana

Plusvalore 25.02.2015, 11:00

Ogni crisi economica è seguita da una fase di introspezione. Quando, alla fine 2011, l’economia argentina crollò, il Fondo monetario internazionale (FMI) dovette valutare auto-criticamente il proprio coinvolgimento nella politica monetaria ed economica dell’Argentina. Lo stesso successe negli anni 1980 con la Banca mondiale e le politiche di austerità promosse in Africa. Oggi la grave crisi economica che colpisce il Venezuela provoca riflessioni simili, stavolta non a livello del FMI – inattivo in Venezuela dal 2007 – bensì in Cina. I ripensamenti concernono anche il legame fra i prestiti concessi e le condizioni da imporre ai paesi debitori per assicurarsi che gli stessi potranno rimborsarli.

Dal 2007 la Banca cinese di sviluppo ha prestato al Venezuela quasi 50 miliardi di dollari, 20 non ancora rimborsati. Tale rimborso è oggi ad alto rischio dato lo stato calamitoso dell’economia venezuelana, ormai in una situazione di virtuale inadempienza. Il Paese soffre di una combinazione fra cattiva gestione economica e collasso dei prezzi mondiali del petrolio, la fonte quasi esclusiva delle esportazioni venezuelane. Siccome per il Venezuela le fonti occidentali di finanziamento si sono prosciugate, la Cina è ormai l’ancora di salvezza. Ma fino a quando?

I finanziamenti cinesi al Venezuela si caratterizzano per il loro elevato volume e la loro poca trasparenza perché né i termini di finanziamento né gli obiettivi specifici sono pubblici. Il debito nei confronti della Cina è ripagato tramite forniture di greggio. L’opinione pubblica venezuelana non è però in grado di sapere come vengono gestiti localmente i finanziamenti cinesi. Ma sa che nel 2013 otto persone furono arrestate a Caracas ed accusate di appropriazione indebita per 84 milioni di dollari legati al Fondo comune cinese-venezuelano.

L’indebitamento con la Cina non è soggetto all’approvazione del Parlamento venezuelano perché lo stesso non costituirebbe un “debito” bensì un “finanziamento” non rimborsabile in valuta estera ma tramite forniture di petrolio. L’ammontare dello stesso non appare nel preventivo nazionale e non è soggetto a controllo legislativo o pubblico. L’Ente petrolifero venezuelano è incaricato di ripagare il debito contratto dal governo venezuelano. Siccome l’Ente non può rinunciare al pagamento delle proprie forniture di petrolio alla Cina riceve in compenso dalla Banca centrale venezuelana una linea di credito equivalente.

Pur di favorire la corsa alle energie fossili necessarie al proprio sviluppo economico la Cina sembra aver dimenticato, almeno nel caso venezuelano, le norme prudenziali che qualsiasi ente finanziario dovrebbe rispettare quando presta soldi a governi esteri. Non per niente 70 anni fa furono creati l’FMI e la Banca mondiale con l’obiettivo di analizzare la situazione economica e debitoria dei singoli paesi, la fattibilità dei prestiti concessi e la probabilità del loro rimborso. Ma la Cina sta’ imparando la lezione. La recente iniziativa cinese di creare alcune banche multilaterali è un’ammissione che la via bilaterale non è sempre pagante e che è meglio apprendere dalle esperienze internazionali.

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