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Gli effetti collaterali degli investimenti passivi

di Marialuisa Parodi

  • 29 novembre 2018, 13:20
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Giovedì 29 novembre 2018 alle 12:20

Gli effetti collaterali degli investimenti passivi

Plusvalore 29.11.2018, 13:20

La flessione della domanda di prodotti Apple, non solo dei nuovi modelli di I-Phone, ha causato una perdita in borsa di oltre il 20% nelle ultime settimane. E con questo, finisce la parte logica di tutta la storia, mentre diversi corollari danno molto da pensare.

Prima di tutto, bisogna sapere che Tim Cook, amministratore delegato del gruppo ed erede del fondatore Steve Jobs, a metà agosto, quando il prezzo era ancora ai massimi, si è disfatto di una bella fetta di azioni Apple, con tre vendite da 12, 41 e 4 milioni, dollaro più dollaro meno. Numeri che danno il capogiro, ma si vede che chi dirige il fascino del logo (su cui si basa il successo del gruppo) sa che quando la mela, appunto, è matura, bisogna coglierla.

Dopo aver fatto un po' d’ordine nel suo portafoglio personale, il signor Cook si è dedicato anche al bilancio dell’azienda. A ottobre, quando le previsioni di vendite natalizie inferiori alle attese erano ormai di pubblico dominio, ha tagliato la produzione di un terzo, mettendo ovviamente in difficoltà tutti i fornitori.

Perché si sa, i giganti della tecnologia hanno innumerevoli fornitori, di dimensioni e forza contrattuale limitate, che non possono far altro che prendere quello che viene, anche in borsa.

Un altro tassello della vicenda riguarda infatti proprio i titoli dei fornitori, come l’austriaca AMS quotata in Svizzera, che a causa dei tagli di Apple hanno perso, nello stesso periodo, fino al 70%.

Ma non è solo una questione di potere contrattuale.

Grazie ad una tendenza paradossale, che ormai interessa l’industria globale del risparmio gestito, infatti, un’enorme quantità di flussi finanziari viene investita in modo cosiddetto passivo: anziché scegliere le società per le loro specifiche prospettive di crescita, si opta per un paniere di titoli pesati in base alla dimensione del flottante, con l’unico obiettivo di replicare l’andamento dell’intero mercato, per esempio quello americano.

Questi strumenti di investimento passivo (definiti dall’acronimo ETF) offrono ampia diversificazione per minima spesa, ma proprio per l’enorme massa di flussi che controllano, sono anche in grado di produrre sensibili distorsioni sul mercato.

I prezzi di borsa delle aziende fornitrici di Apple, quindi, non hanno sofferto solo per la decisione dei tagli della produzione, ma anche perché non godono della rete di protezione degli ETF: la loro capitalizzazione di borsa non è infatti tale da rientrare nel target degli investitori istituzionali che guidano la gestione del rispamio passivo.

I quali, a loro volta, sono diventati dei colossi. Come BlackRock e State Street che, grazie al controllo di significative porzioni di capitale, riescono ormai ad influenzare il management delle grandi aziende quotate. Dichiarano di farlo anche con l’intento di promuovere la sostenibilità economica e finanziaria, e per certi versi gli si può dar credito.

Il problema è che, di questo impegno, non c’è traccia in nessuna legge.

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