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Immigrazione, la politica batte l’economia

di Gianfranco Fabi

  • 15 giugno 2018, 14:20
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Tentativo di immigrati di superare il confine spagnolo

  • Reuters

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Venerdì 15 giugno 2018 alle 12:20

La politica di duro contrasto all’immigrazione del nuovo Governo italiano ha riportato in primo piano un problema comune a tutti i paesi europei: come affrontare un fattore che ha tanti aspetti diversi, molto spesso contraddittori. A guidare le scelte, anche per raccogliere il consenso popolare, sono in gran parte i temi legati alla sicurezza, ai rischi di infiltrazioni terroristiche, alle difficoltà di integrazione sociale. Temi che si confrontano con le esigenze umanitarie, con la sensibilità morale di fronte a persone in situazioni di forte disagio, talvolta di pericolo per la propria vita.

I risvolti economici giocano solo una piccola parte di queste riflessioni. E spesso in senso negativo perché emergono i timori legati alla possibilità che gli immigrati facciano concorrenza sleale sul mercato del lavoro, accettando salari più bassi e facendo crescere l’illegalità. Uno studio del Fondo monetario internazionale ha tuttavia dimostrato che gli effetti problematici sul mercato del lavoro sono nella maggior parte dei casi limitati e temporanei.

La teoria economica peraltro ha in gran parte sottolineato anche gli elementi positivi che l’immigrazione può portare. Si può partire da quello che viene considerato il fondatore dell’economia moderna, Adam Smith, che nel suo saggio sulla ricchezza delle nazioni sottolinea che la forza di uno Stato non sia rappresentata dai lingotti d’oro che possiede, ma dalla quantità e dalla qualità del lavoro che può realizzare.

Una teoria che ha avuto la sua dimostrazione a metà dell’Ottocento quando gli Stati Uniti, proprio grazie all’immigrazione dall’Europa, superarono la Gran Bretagna sia in termini di produzione, sia di ricchezza pro-capite.

Un recente ricerca dell’Ocse nei maggiori paesi europei ha sottolineato come le famiglie degli immigrati abbiano una posizione fiscale positiva, cioè paghino in tasse più di quanto ricevano in servizi pubblici. Da questa prospettiva proprio l’Italia si trova in una situazione particolare. Tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione, con la speranza di vita più alta del mondo escluso solo il Giappone, e del saldo demografico negativo, con un calo delle nascite sempre più evidente, i conti della previdenza sono in maniera significativa sostenuti già ora dagli immigrati. Soprattutto perché sono molti di più quelli che lavorano e pagano i contributi di quelli che possono beneficiare delle pensioni.

Ci sono ancora tre elementi di fondo che le teorie economiche sottolineano. Il primo è il valore della diversità: un Paese che riesce a integrare e a far dialogare lingue, culture, valori diversi è un Paese potenzialmente più ricco di uno Stato isolato e chiuso. Il secondo è il ruolo delle aspettative: l’avere una visione positiva aiuta a guardare con fiducia alle possibilità di crescita personale e sociale e questo può avere un effetto di rilancio dell’economia al contrario di una realtà che si muove solo per difendere la propria condizione. Un terzo elemento è costituito dalla spinta ai consumi e quindi alla crescita che può derivare dal lavoro degli immigrati senza dimenticare che le rimesse verso gli stati di origine possono svolgere un ruolo importante per lo sviluppo di questi stessi paesi.

Resta tuttavia il fatto che le scelte sull’immigrazione devono tener conto di tutti i fattori in gioco e non sorprende che le valutazioni politiche e di ricerca del consenso, pur con il necessario equilibrio, abbiano il sopravvento sulle riflessioni che possono nascere dalle teorie economiche.

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