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La parità passa per l’Islanda…

di Amalia Mirante

  • 11 gennaio 2018, 13:20
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Giovedì 11 gennaio 2018 alle 12:20

Star di Holliwood vestite di nero alla consegna di un importante premio in segno di solidarietà alle colleghe molestate sul lavoro, canali televisivi interamente condotti da donne, donne giornaliste responsabili di testate che si dimettono perché scoprono di guadagnare meno dei colleghi uomini… e nazioni, come l’Islanda, che introducono leggi che sanzionano le aziende che non pagano lo stesso salario a donne e uomini. Questi sono solo gli ultimi fatti che ci confermano quanto il tema della parità di genere nel mondo del lavoro sia di estrema attualità.

Fino a un decennio fa, una buona fetta dell’opinione pubblica, riteneva che la differenza di salario tra uomini e donne dipendesse principalmente dal fatto che le donne fossero meno istruite e meno qualificate degli uomini: di conseguenza, le donne che aspiravano a professioni dirigenziali erano proporzionalmente molto meno degli uomini. Quindi, quasi per una legge matematica, il numero di donne che riusciva ad accedere a funzioni quadro era molto piccolo.

Poi qualcosa è cambiato e le donne hanno iniziato a raggiungere, se non addirittura superare, il livello di formazione degli uomini. Ma ecco che, anziché vedere colmato il divario dei salari, abbiamo assistito al fenomeno della femminilizzazione di alcune professioni. L’esempio di quanto accaduto alle carriere mediche è esplicativo: prima esistevano solo dottori uomini, dal momento che le donne hanno sempre più iniziato a studiare medicina ecco i salari dei medici generici, settore in cui le donne hanno iniziato a lavorare, stagnare. Di pari passo, le professioni più specialistiche, prevalentemente occupate da uomini, hanno iniziato ad essere molto più pagate. Tanti sono i settori che hanno visto questa evoluzione.

La giustificazione per la differenza di salario che ci è stata fornita negli ultimi anni dall’analisi econometrica e statistica è invece stata più sottile: ci hanno spiegato che per parlare di discriminazione salariale bisogna prima di tutto distinguere i fattori oggettivi da quelli soggettivi. Ecco quindi che non riuscire a raggiungere una posizione dirigenziale perché donna si è trasformato da fatto degno di analisi di discriminazione, in fatto oggettivo: detto più semplicemente “è chiaro che se non sei capo in un’azienda guadagni meno, mica si può parlare di discriminazione” … lo stesso, succede quando si analizza l’età: “certo, sei giovane, mica potrai guadagnare quanto i tuoi colleghi uomini un po’ più vecchi di te”.

Insomma, i risultati delle discriminazioni sono divenuti fattori oggettivi di differenza…

Ma il mondo va avanti: ecco quindi paesi come l’Islanda dotarsi di leggi che vanno dai congedi parentali alle quote rose e ultima in ordine di tempo la legge che obbliga alla parità salariale. Sono questi i paesi che meglio rispondono alle esigenze dei nostri giovani e delle nostre giovani, che non chiedono altro che pari opportunità e pari riconoscimenti.

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