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Libero mercato con concorrenza sleale: troppo facile

di Mauro Baranzini

  • 24 gennaio 2017, 13:20
Libero mercato con concorrenza sleale: troppo facile
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Martedì 24 gennaio 2017 alle 12:20

Un giorno dovrò spiegare al mio nipotino perché dopo 35 anni di deregolamentazione, libero mercato e globalizzazione selvaggia, gli elettorati hanno cominciato a voltare le spalle all’establishment e a premiare politici purtroppo poco, anzi per niente, politically correct come Nigel Farage in Gran Bretagna e il nuovo presidente americano. Gli dovrò spiegare perché la Cina produce, e in buona parte, esporta da 500 a 800 milioni di tonnellate di ferro e acciaio. Mentre gli Stati Uniti, prima potenza economica mondiale, ne producono meno di 100; e il Regno Unito, 65 milioni di abitanti e un impero alle spalle, sta chiudendo la sua ultima acciaieria nel Galles. (La Svizzera non ne ha più da 20 anni ormai.) Gli dovrò spiegare che gli Stati Uniti hanno dovuto chiudere una dopo l’altra le fabbriche di acciaio, licenziando centinaia di migliaia di operai, e chiudendo tutta la catena di imprese che serve le acciaierie, miniere comprese. E se mio nipotino avrà studiato sui libri di testo economici che vanno per la maggiore, certo non critici dei veri problemi delle classi deboli, mi dirà che “è il libero mercato, stupido d’un nonno”. E mi dirà forse che nel 2017 al Forum di Davos è persino venuto anche il presidente della nazione più popolosa del mondo, la Cina, a perorare la causa del libero mercato e libero commercio. Strano per una nazione che non è ancora uscita del tutto da un regime Marxista di economia super-pianificata e dal pugno di ferro; e di una nazione che non mette i diritti dell’uomo, delle minoranze e dei vicini più piccoli in primo piano. Al che, con calma, gli spiegherò che è troppo facile tirare il sasso e nascondere la mano. Cioè, predicare il libero mercato e fare concorrenza sleale allo stesso tempo. Cioè, chiedere agli altri di rispettare le regole, ma non osservarle a casa propria. Ohibò, cosa dice il nonno? Beh, sono andato a vedere uno studio di pochissimi anni fa. Da questo studio emerge che la produzione di una tonnellata di acciaio in Cina genera 5 volte più di “diossido di zolfo”, 18 volte più di altri “particolati”, e 3 volte più di “ossido d’azoto”, che non negli Stati Uniti. Stesso discorso per le acciaierie britanniche, se non di più. Quindi poco rispetto dell’ambiente (che in fondo inquina nel lungo periodo tutto il mondo). Nell’enorme produzione di acciaio, la Cina per diversi anni ha prodotto quasi tre volte più di "gas serra" di quanto prevedono gli accordi di Kyoto. E, se non bastasse, le multe per non rispettare i limiti di inquinamento sono in Cina ridicole rispetto a quelle americane. E non affrontiamo qui il discorso delle condizioni di lavoro, dei diritti della classe operaia e del loro livello di vita. Ricorderemo solo che ogni settimana viene aperta in Cina una nuova centrale a carbone (chissà con quanti filtri?). I risultati li sappiamo: smog a non finire in certi mesi dell’anno, blocco della produzione quando arrivano le olimpiadi, e almeno un milione di morti all’anno dovuti all’inquinamento. Quindi si può ben capire che i sindacati e l’elettorato stanno premiando chi vuole riportare a casa queste attività economiche. Un po’ di libero mercato va bene; un po’ di deregolamentazione va bene; ma il troppo storpia. Chissà se l’establishment saprà far fronte a queste giuste rivendicazioni di chi ha perso il posto di lavoro non per incompetenza; bensì per concorrenza sleale? Staremo a vedere.

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