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Nidi d’infanzia e lavoro: quale la relazione?

di Marco Salvi

  • 10 settembre 2018, 14:20
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Lunedì 10 settembre 2018 alle 12:20

In Svizzera, i costi per l’accoglienza della prima infanzia (vale a dire per bambini fino a tre anni) sono in gran parte a carico dei genitori. Nel confronto internazionale, i nostri asili nido sono cari, anzi carissimi: una famiglia con due bambini in età prescolastica spende tra il 15 e il 20 percento del reddito per il collocamento dei figli. In altre paesi europei, famiglie che usufruiscono di un servizio analogo spendono al massimo 6 percento. Secondo alcuni economisti, i costi elevati degli asili nido svizzeri scoraggerebbero le giovani madri a riprendere il lavoro a tempo pieno, con conseguenze nefaste sul loro percorso professionale e sulla carriera. I costi sarebbero direttamente responsabili del fatto che in Svizzera la maggioranza delle madri con figli piccoli o lavora a tempo parziale con percentuali molto basse o non lavora del tutto.

Una nuova analisi dello studio di consulenza economica INFRAS svolto per conto della Fondazione Jacobs permette di verificare in modo preciso queste ipotesi. Lo studio conferma che con tariffe più abbordabili le famiglie farebbero maggior ricorso ai nidi per l’infanzia. Ad esempio, se i costi medi diminuissero da 90 a 60 franchi, una famiglia su 10 in più manderebbe il proprio bambino all’asilo nido.

Gli effetti sull’impiego dell’abbassamento delle tariffe sarebbero invece trascurabili. A livello svizzero, la diminuzione delle tariffe di 30 franchi al giorno inciterebbe appena 7’500 persone supplementari (in stragrande maggioranza donne) a riprendere un lavoro a tempo pieno. Per finanziare questa misura servirebbero però 600 milioni di franchi. In altre parole, lo stato dovrebbe spendere in media ben 80’000 franchi all’anno per indurre un genitore in più a lavorare a tempo pieno.

Come mai un effetto così debole? Oggi la maggior parte della cura dei bambini viene svolta in modo informale da nonni e altri parenti. Asili nido miglior mercato porterebbero in primo luogo a una sostituzione delle cure private con quelle formali, senza però indurre un aumento globale dei tempi di custodia.

Al riguardo di questi risultati deludenti, diventa difficile motivare un aumento ulteriore degli aiuti statali alle strutture di accoglienza con supposti effetti positivi sull’impiego femminile. Sappiamo ora che questo effetto è modesto. Rimane però il fatto che le giovani famiglie, appena fanno ricorso a strutture d’accoglienza, devono sopportare un carico finanziario il quale – a seconda dell’orientamento politico – gli uni giudicheranno sostanziale, gli altri eccessivo.

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