In un articolo pubblicato su Tages Anzeiger del 13 Aprile, scriveva un illustre collega dell’Università di Zurigo, tra poche settimane ex-collega, che troppi economisti accademici nella confederazione non partecipano al dibattito su temi di rilevanza pubblica. Il collega fustigava in modo particolarmente duro gli economisti dell’Università di Zurigo, senza eccezioni.
La nostra unica preoccupazione – secondo il collega - sarebbero pubblicazioni accademiche che notoriamente quasi nessuno legge. Il collega invocava poi una rivolta fiscale, dimenticando, nella smania iconoclasta, che molti di noi attraggono su una base di merito – attraverso il sistema di finanziamenti alla ricerca a livello internazionale - risorse che eccedono quanto costiamo all’università ed ai contribuenti.
Gli aspetti bizzarri di queste esternazioni sono numerosi. Tanto io come altri colleghi partecipiamo attivamente, nel nostro stile e secondo i nostri principi, tempi ed ideali, al dibattito pubblico. Lasciando da parte i numerosi contributi presso organismi ed istituzioni internazionali, fa specie che i miei interventi regolari in questa come in altre rubriche della Radio della Svizzera Italiana non siano secondo il collega meritevoli di menzione. Sarà magari un po’ di effetto Röschtigraben...
Al di là di questo, mi preme difendere quei colleghi che, a differenza di me, si occupano nella loro ricerca di aspetti metodologici piuttosto che applicati. La conoscenza scientifica, tanto nelle scienze esatte come in quelle sociali, si nutre dell’interazione tra ricerca di base e ricerca applicata. In tutte le migliori università mondiali entrambi sono presenti e si compenetrano. L’obiettivo è quello di fondare il sapere, compresi i nostri interventi nel dibattito pubblico, su basi piu’ solide, di quanto non possano garantire rispettabili opinionisti professionali. Si pensi per esempio ai contributi metodologici dei premi Nobel Akerlof, Spence, Stiglitz che hanno aperto la strada alla comprensione dei problemi di incentivi e dell’azzardo morale. Oppure ai progressi dovuti ai metodi statistico-econometrici introdotti da Haavelmo prima e da Heckman poi, che permettono di identificare in modo credibile relazioni causali tra variabili economiche e sociali. Per non parlare dei contributi di teoria dei giochi di Nash, Selten e Harsanyi, che hanno introdotto in forma rigorosa concetti come quello di credibilità della politica economica che sono all’ordine del giorno nel dibattito pubblico contemporaneo.
Se l’Università ha un ruolo, a parte quello di centro di istruzione, è quello di promovuere la ricerca di base, quella che non verrebbe sviluppata se lasciata all’iniziativa privata, perchè non offre un rendimento economico immediato. Questo argomento vale nella scienza medica, nell’astrofisica, cosi’ come nelle scienze sociali.
Mi sento di aggiungere che se l’Europa ha sofferto – come molti riconoscono - di una preoccupante sudditanza intellettuale rispetto agli Stati Uniti nelle scienze sociali, lo dobbiamo in buona misura ad una cattiva organizzazione del sistema universitario. Nel corso di decenni, i migliori cervelli, spesso europei, sono migrati verso le grandi università americane, con l’unica
eccezione della London School of Economics. Questo ha limitato la formazione di nuove leve di ricercatori creativi e capaci di sviluppare nuovi paradigmi di ricerca che avessero la stessa dignità intellettuale di quelli dominanti oltre oceano. Ci sono state, in contrasto, troppe scapigliature e troppi professori-vati, tanto popolari a livello locale quanto sconosciuti su scala globale.
Eppure qualcosa si muove. In diversi paesi dell’Europa continentale si stanno consolidando centri di eccellenza. La Svizzera puo’ essere in prima fila. Nel nuovo sistema competitivo di allocazione di fondi di ricerca a livello europeo, la confederazione dimostra di essere all’avanguardia. Ma questo successo richiede il concorso di risorse pubbliche e private, cosi’ da creare massa critica. Naturalmente, l’obiettivo non puo’ essere quello di creare torri d’avorio. Per questo, insieme al professor Fehr, stiamo lanciando all’Università di Zurigo un centro per l’economia nella società il cui obiettivo è quello di creare un ponte tra ricerca accademica di livello internazionale e la società civile elvetica.
La nostra unica preoccupazione – secondo il collega - sarebbero pubblicazioni accademiche che notoriamente quasi nessuno legge. Il collega invocava poi una rivolta fiscale, dimenticando, nella smania iconoclasta, che molti di noi attraggono su una base di merito – attraverso il sistema di finanziamenti alla ricerca a livello internazionale - risorse che eccedono quanto costiamo all’università ed ai contribuenti.
Gli aspetti bizzarri di queste esternazioni sono numerosi. Tanto io come altri colleghi partecipiamo attivamente, nel nostro stile e secondo i nostri principi, tempi ed ideali, al dibattito pubblico. Lasciando da parte i numerosi contributi presso organismi ed istituzioni internazionali, fa specie che i miei interventi regolari in questa come in altre rubriche della Radio della Svizzera Italiana non siano secondo il collega meritevoli di menzione. Sarà magari un po’ di effetto Röschtigraben...
Al di là di questo, mi preme difendere quei colleghi che, a differenza di me, si occupano nella loro ricerca di aspetti metodologici piuttosto che applicati. La conoscenza scientifica, tanto nelle scienze esatte come in quelle sociali, si nutre dell’interazione tra ricerca di base e ricerca applicata. In tutte le migliori università mondiali entrambi sono presenti e si compenetrano. L’obiettivo è quello di fondare il sapere, compresi i nostri interventi nel dibattito pubblico, su basi piu’ solide, di quanto non possano garantire rispettabili opinionisti professionali. Si pensi per esempio ai contributi metodologici dei premi Nobel Akerlof, Spence, Stiglitz che hanno aperto la strada alla comprensione dei problemi di incentivi e dell’azzardo morale. Oppure ai progressi dovuti ai metodi statistico-econometrici introdotti da Haavelmo prima e da Heckman poi, che permettono di identificare in modo credibile relazioni causali tra variabili economiche e sociali. Per non parlare dei contributi di teoria dei giochi di Nash, Selten e Harsanyi, che hanno introdotto in forma rigorosa concetti come quello di credibilità della politica economica che sono all’ordine del giorno nel dibattito pubblico contemporaneo.
Se l’Università ha un ruolo, a parte quello di centro di istruzione, è quello di promovuere la ricerca di base, quella che non verrebbe sviluppata se lasciata all’iniziativa privata, perchè non offre un rendimento economico immediato. Questo argomento vale nella scienza medica, nell’astrofisica, cosi’ come nelle scienze sociali.
Mi sento di aggiungere che se l’Europa ha sofferto – come molti riconoscono - di una preoccupante sudditanza intellettuale rispetto agli Stati Uniti nelle scienze sociali, lo dobbiamo in buona misura ad una cattiva organizzazione del sistema universitario. Nel corso di decenni, i migliori cervelli, spesso europei, sono migrati verso le grandi università americane, con l’unica
eccezione della London School of Economics. Questo ha limitato la formazione di nuove leve di ricercatori creativi e capaci di sviluppare nuovi paradigmi di ricerca che avessero la stessa dignità intellettuale di quelli dominanti oltre oceano. Ci sono state, in contrasto, troppe scapigliature e troppi professori-vati, tanto popolari a livello locale quanto sconosciuti su scala globale.
Eppure qualcosa si muove. In diversi paesi dell’Europa continentale si stanno consolidando centri di eccellenza. La Svizzera puo’ essere in prima fila. Nel nuovo sistema competitivo di allocazione di fondi di ricerca a livello europeo, la confederazione dimostra di essere all’avanguardia. Ma questo successo richiede il concorso di risorse pubbliche e private, cosi’ da creare massa critica. Naturalmente, l’obiettivo non puo’ essere quello di creare torri d’avorio. Per questo, insieme al professor Fehr, stiamo lanciando all’Università di Zurigo un centro per l’economia nella società il cui obiettivo è quello di creare un ponte tra ricerca accademica di livello internazionale e la società civile elvetica.
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