La Dracma ha una nobile storia che ci riporta ai fasti della civiltà classica del V secolo prima di Cristo quando la tetradracma ateniese era accettata come valuta pregiata nell’intero mondo ellenico. Oggi, la tetradracma è incapsulata nelle monete di un Euro che vengono coniate in Grecia, racchiusa nella circonferenza dorata della valuta unica europea. Tra notizie di ulteriore declassamenti del debito sovrano greco, si è cominciato a ventilare l’ipotesi – subito smentita dalle rituali dichiarazioni dei funzionari europei – di liberare la dracma incatenata.
Al di là di metafore prometeiche, rischia di profilarsi all’orizzonte l’ennesimo pasticcio. L’insolvenza delle finanze pubbliche greche è un dato di fatto e non serviranno le stucchevoli dichiarazioni ufficiali di politici o burocrati a ripristinare la fiducia dei mer-cati in una realtà ormai solo immaginaria.
Fin dall’inizio, la follia politica è stata quella di legare un problema tuttaltro che deva-stante come la difficoltà debitoria di un piccolo paese ai destini dell’Euro se non della costruzione europea nel suo complesso. Saggezza avrebbe invece richiesto di pren-dere atto della crisi già da tempo, lasciando che la Grecia ed il Fondo Monetario, possibilmente con la cooperazione tecnica dell’Unione Europea, annunciassero una ristrutturazione ordinata del debito sovrano, cosi’ come si fece nel 1998 in Russia e nel 2002 in Argentina. Non vi era alcuna necessità di caricare di implicazioni sistemi-che il fatto che il debito greco fosse denominato in Euro. Questo ha finito con l’ingigantire gli effetti di un male tanto incurabile quanto locale, creando le condizioni per un contagio internazionale.
Una ristrutturazione del debito darebbe e probabilmente darà luogo alla temporanea esclusione del paese coinvolto dai mercati finanziari internazionali. Vale a dire, per un po’ di tempo il governo greco dovrà ricorrere a tassazione, tagli di spesa e se possibile alla benevolenza di investitori locali per vendere i titoli di debito publlico. D’altra parte, tale emergenza renderà il paese ed il suo governo direttamente responsabili della situazione: le misure di aggiustamento non saranno piu’ derogabili e verranno intraprese. Questo vorrà dire lacrime e sangue per un po’ di tempo, ma non la rovina economica: Tanto in Russia come in Argentina la crescita economica post-crisi debitoria è stata forte e sostenuta: circa il 6% annuo tanto nell’Argentina tra il 2003 ed il 2007, come in Russia tra il 1999 ed il 2003. Al contrario, promesse e ripetute rinegoziazioni di bail out e dichiarazioni altalenanti creano ogni sorta di incentivi perversi su governo, opposizioni ed attori sociali che devono farsi carico delle conse-guenze della crisi.
Come spesso accade, mascherata da pulsioni solidaristiche, si è mossa la macchina degli interessi particolari di banche ed investitori esposti. Meglio avrebbero fatto i singoli stati membri ad intervenire direttamente a sostegno delle banche locali espo-ste. Tuttavia, non tutti i paesi erano nella stessa situazione, e quelli piu’ impelagati hanno deciso di giocare cinicamente la carta del solidarismo europeista. Non a caso, le opinioni pubbliche di molti paesi hanno perso la pazienza.
Per quanto si continui a differire il problema, la ristrutturazione non ha alternative. L’ipotesi di tornare alla dracma è invece bizzarra. Puo’ avere senso solo se si con-vertono forzosamente tutti i titoli denominati in Euro in Dracme, e poi si crea inflazione per svalutarli. Non vedo i vantaggi rispetto ad una svalutazione del valore nominale in Euro dei titoli di debito pubblico. C’è chi spera che un’infornata di inflazione sia politicamente più accettabile che imporre una diminuzione della spesa nominale in Euro. Ma ci sono anche enormi costi legati al caos che ne seguirebbe. Nel momento in cui diventi palese che esite una opzione di uscita dall’unione monetaria, altri paesi diventerebbe oggetto di attacchi speculativi basati sulla aspettativa di un’uscita.
Insomma, meglio lasciare la dracma nei libri di storia, ed affrontare invece con tem-pestività i termini della ristrutturazione del debito greco.
Al di là di metafore prometeiche, rischia di profilarsi all’orizzonte l’ennesimo pasticcio. L’insolvenza delle finanze pubbliche greche è un dato di fatto e non serviranno le stucchevoli dichiarazioni ufficiali di politici o burocrati a ripristinare la fiducia dei mer-cati in una realtà ormai solo immaginaria.
Fin dall’inizio, la follia politica è stata quella di legare un problema tuttaltro che deva-stante come la difficoltà debitoria di un piccolo paese ai destini dell’Euro se non della costruzione europea nel suo complesso. Saggezza avrebbe invece richiesto di pren-dere atto della crisi già da tempo, lasciando che la Grecia ed il Fondo Monetario, possibilmente con la cooperazione tecnica dell’Unione Europea, annunciassero una ristrutturazione ordinata del debito sovrano, cosi’ come si fece nel 1998 in Russia e nel 2002 in Argentina. Non vi era alcuna necessità di caricare di implicazioni sistemi-che il fatto che il debito greco fosse denominato in Euro. Questo ha finito con l’ingigantire gli effetti di un male tanto incurabile quanto locale, creando le condizioni per un contagio internazionale.
Una ristrutturazione del debito darebbe e probabilmente darà luogo alla temporanea esclusione del paese coinvolto dai mercati finanziari internazionali. Vale a dire, per un po’ di tempo il governo greco dovrà ricorrere a tassazione, tagli di spesa e se possibile alla benevolenza di investitori locali per vendere i titoli di debito publlico. D’altra parte, tale emergenza renderà il paese ed il suo governo direttamente responsabili della situazione: le misure di aggiustamento non saranno piu’ derogabili e verranno intraprese. Questo vorrà dire lacrime e sangue per un po’ di tempo, ma non la rovina economica: Tanto in Russia come in Argentina la crescita economica post-crisi debitoria è stata forte e sostenuta: circa il 6% annuo tanto nell’Argentina tra il 2003 ed il 2007, come in Russia tra il 1999 ed il 2003. Al contrario, promesse e ripetute rinegoziazioni di bail out e dichiarazioni altalenanti creano ogni sorta di incentivi perversi su governo, opposizioni ed attori sociali che devono farsi carico delle conse-guenze della crisi.
Come spesso accade, mascherata da pulsioni solidaristiche, si è mossa la macchina degli interessi particolari di banche ed investitori esposti. Meglio avrebbero fatto i singoli stati membri ad intervenire direttamente a sostegno delle banche locali espo-ste. Tuttavia, non tutti i paesi erano nella stessa situazione, e quelli piu’ impelagati hanno deciso di giocare cinicamente la carta del solidarismo europeista. Non a caso, le opinioni pubbliche di molti paesi hanno perso la pazienza.
Per quanto si continui a differire il problema, la ristrutturazione non ha alternative. L’ipotesi di tornare alla dracma è invece bizzarra. Puo’ avere senso solo se si con-vertono forzosamente tutti i titoli denominati in Euro in Dracme, e poi si crea inflazione per svalutarli. Non vedo i vantaggi rispetto ad una svalutazione del valore nominale in Euro dei titoli di debito pubblico. C’è chi spera che un’infornata di inflazione sia politicamente più accettabile che imporre una diminuzione della spesa nominale in Euro. Ma ci sono anche enormi costi legati al caos che ne seguirebbe. Nel momento in cui diventi palese che esite una opzione di uscita dall’unione monetaria, altri paesi diventerebbe oggetto di attacchi speculativi basati sulla aspettativa di un’uscita.
Insomma, meglio lasciare la dracma nei libri di storia, ed affrontare invece con tem-pestività i termini della ristrutturazione del debito greco.
Tags: plusvalore, debito pubblico, grecia, euro, crisi