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Zimbabwe: colpo di stato morbido con consenso cinese

di Pietro Veglio

  • 10 January 2018, 12:20
Emmerson Mnangagwa durante il suo discorso

Emmerson Mnangagwa durante il suo discorso

  • ©Keystone

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Mercoledì 10 gennaio 2018 alle 12:20

Recentemente lo Zimbabwe è stato protagonista di un colpo di stato “morbido” orchestrato dall’esercito nazionale. Risultato: pensionamento anticipato del presidente-autocrate 93enne Robert Mugabe e insediamento del suo successore, fino allora vice-presidente, Emmerson Mnangagwa. È significativo che durante la rivolta militare il governo cinese, che mantiene relazioni diplomatiche ed economiche molto importanti con lo Zimbabwe, non abbia manifestato nessun sostegno né tanto meno simpatia nei confronti di Mugabe. Ha invece prevalso la ragion di Stato: prima il silenzio e poi le congratulazioni del Presidente cinese Xi Jinping al successore.

Al di là di ogni congettura sulla dinamica interna del colpo di stato e sul probabile consenso cinese il golpe è rivelatore di quanto la politica estera della Cina stia adattandosi pragmaticamente agli imperativi della Realpolitik. Dopo 37 anni di potere assoluto, Mugabe ha infatti grosse responsabilità nel fallimento economico dello Zimbabwe. Leader carismatico nella lotta anti-apartheid e per l’indipendenza dell’ex-Rhodesia, ma anche despota che, attraverso l’esproprio forzato di latifondi agricoli, ha contribuito a far precipitare il Paese nella rovina economica e sociale. Il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà estrema. A metà 2015 lo Zimbabwe dovette ritirare dalla circolazione il dollaro zimbabwese perché troppo svalutato dopo oltre un decennio di gravissima iperinflazione. La moneta nazionale venne ufficialmente sostituita dal dollaro americano e parzialmente dal Rand sudafricano.

Mugabe intrecciò relazioni amichevoli con la Cina già durante la lotta anti-coloniale. All’inizio 2000, quando le sanzioni economiche occidentali per le numerose violazioni dei diritti umani e le frodi elettorali colpirono lo Zimbabwe, la Cina difese Mugabe e investì parecchio nelle miniere di diamanti, la produzione di tabacco e la costruzione di strade e centrali termiche e idroelettriche. Mugabe esultò: “Ci siamo orientati verso Oriente, dove sorge il sole e abbiamo mostrato la schiena all’Occidente, dove il sole tramonta”. Ancora all’inizio 2015, il Presidente Xi Jinping visitò lo Zimbabwe promettendo US$ 4 miliardi per aumentare la produzione di energia elettrica. Per lusingare l’illustre ospite Mugabe annunciò che lo Zimbabwe sarebbe stato il primo Paese ad accettare il renmimbi cinese come valuta ufficiale.

In realtà, al di là delle cortesie diplomatiche, il collasso dell’economia zimbabwese preoccupava sempre più il governo cinese. Ad inizio 2016 una nuova legge stabilì che ogni investitore estero doveva accettare che il 51% del capitale aziendale fosse proprietà di cittadini zimbabwesi. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Anche perché nel frattempo la Cina si era resa conto che le relazioni diplomatiche ed economiche con vari dittatori, vedi la Libia di El-Quaddafi e il Venezuela di Maduro, non erano una garanzia di successo né di stabilità.

Il principio della non interferenza negli affari interni di un Paese, fondamentale per la Cina, non verrà abbandonato, ma dovrà essere adattato al nuovo ruolo che il gigante asiatico svolge sulla scena internazionale.

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