Plusvalore

+ informazione = + conoscenza?

di Vincenzo Galasso

  • 7 dicembre 2018, 13:20
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Plusvalore
Venerdì 07 dicembre 2018 alle 12:20

La diffusione dei social media ha sicuramente aumentato la quantità di informazioni a nostra disposizione. Il numero di fonti a cui attingere per sapere qualcosa è oggi quasi infinito! Questo incremento dell’offerta di informazione ha creato anche un aumento della domanda: siamo diventati più curiosi. Continuiamo a guardare i nostri smartphone in attesa di novità. Da apprendere in tempo reale.

Avere più informazioni a nostra disposizione aumenta anche il nostro livello di conoscenza, giusto? Beh, non necessariamente. Vediamo perché.

Sicuramente la maggiore accessibilità consente a più persone di avvicinarsi alle informazioni. Qualche decennio fa, era necessario consultare libri o enciclopedie o dotti amici per comprendere il funzionamento dei sistemi economici. Oppure leggere i giornali o ascoltare radio e televisione per conoscere l’andamento dei mercati azionari. Oggi, una rapida ricerca su internet può soddisfare quasi ogni nostra curiosità. Dunque più persone si informano e hanno accesso a più informazioni.

Tuttavia non tutte le informazioni sono uguali e non tutte le informazioni sono corrette. Prima dell’avvento dei social media, la selezione e la trasmissione delle informazioni era appannaggio dei media tradizionali, che avevano quindi un ruolo di filtro. Con vantaggi e svantaggi. Da un lato, i media tradizionali esercitavano un potere di controllo e un ruolo di agenda setting. Ovvero potevano scegliere quali informazioni dare e di cosa parlare. Un potere potenzialmente pericoloso, soprattutto se lasciato nelle mani della politica. Tuttavia, la reputazione dei media dipendeva dalla qualità e dall’accuratezza delle informazioni date, e ciò creava degli incentivi positivi.

Con l’avvento dei social media, i filtri all’informazione sono saltati. Meglio, verrebbe da dire. Con più offerta, la qualità dell’informazione migliorerà. In realtà, anche se sono sorti tanti blog di approfondimento che effettivamente producono informazione di elevata qualità, i social media sono diventati anche una grande fucina di fake news. La possibilità di inventarsi giornalisti, opinionisti e scrittori, senza dover passare alcun esame o affrontare alcun colloquio, ha consentito a persone a cui mancano le necessarie conoscenze di scrivere di economia, di finanza, di medicina, di biologia. Poco male, direte. Nessuno li leggerà o li ascolterà. Ma non è così. Per almeno due motivi. In primo luogo, perché i social media legittimano, ma non filtrano. Se leggo delle informazioni su una materia che non conosco, come faccio a capire se sono vere o false? Mi fiderò probabilmente della legittimità della fonte. E leggerli su twitter o facebook potrebbe bastare. In secondo luogo, alle persone piace sentirsi dire – o leggere – ciò che già pensano. Accade anche nella scelta dei media tradizionali. A maggior ragione con i social media posso trovare una fonte che legittimi le mie idee, anche se sono completamente errate.

A ben vedere quindi lo straordinario aumento della quantità di informazioni disponibili potrebbe non avere gli effetti desiderati. Ma non dobbiamo essere pessimisti. Tocca soprattutto alla scuola e all’università offrire gli strumenti interpretativi per convertire l’informazione in conoscenza.

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