“L’uomo che rubò Bansky”
Voci dipinte

Via dalla strada

di Monica Bonetti

  • Keystone
  • 10.2.2019
  • 1 h e 1 min
Disponibile su
Scarica
  • Arte e spettacoli

Come si può portare qualcosa che è nato ed è sempre stato in strada dentro ad un museo senza trasformarlo?

È la domanda che divide estimatori e critici della musealizzazione della Street art.

Certo dal punto di vista della commercializzazione, le operazioni di questo tipo sono un successo. Ne è la prova quanto sta accadendo al Museo delle culture di Milano (Mudec) dove le code per entrare a vedere A visual protest. The art of Bansky spesso superano le due ore. La mostra non presenta lavori sottratti agli spazi pubblici e tenta una storicizzazione del lavoro di quello che è probabilmente il più noto degli street artist, ma reca comunque la dicitura “non autorizzata” e per gli street artist più duri è comunque una forma inaccettabile di privatizzazione dell’arte pubblica.

Se come scrive Banksy “il bordo di un canale è un posto più interessante per l’arte di un museo” qual è il senso di portare le sue opere in un Museo, o di contrastarne il naturale deteriorarsi fino a sparire? E più in generale qual è il ruolo di questa forma di protesta visiva che alcuni esitano a definire arte?

A questi e altri interrogativi rispondono questa settimana a "Voci dipinte" Gianni Mercurio, curatore della mostra del Mudec, e lo street artist Pierpaolo Perretta.

Scopri la serie